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Antisemitismo senza ebrei: cosa insegna al Friuli la svastica di San Daniele

Pubblicato il 02/03/2020 - Messaggero Veneto

«Hanno un grande potere economico e governano l’alta finanza in tutto il mondo». Non è vero. Ma nei Paesi dell’est è convinzione radicata e anche in Italia molti ci credono.

Il corona virus ha oscurato ogni altro dibattito. Eppure…

Eppure quella svastica apparsa il mese scorso a San Daniele sulla facciata della casa di Arianna Szorenyi – ebrea che nel 1944 fu prelevata proprio da quella abitazione per essere deportata ad Auschwitz – non va dimenticata. A distanza di qualche tempo l’episodio si presta a una riflessione di carattere più generale.

La reazione dell’opinione pubblica dinanzi all’episodio è un fatto che senz’altro conforta e che, forse sì forse no, lo circoscrive entro i confini del comportamento isolato di una persona poco dotata in acume e conoscenza della storia. Questo, almeno, è quanto preferiremmo scrivere in questo approfondimento dedicato a un tema, l’antisemitismo, che sconsiglia invece ogni genere di minimizzazione o banalizzazione.

Siamo, al contrario, di fronte ad un fenomeno di cui tutti gli indicatori a disposizione illustrano non solo la natura virulenta, ma anche la diffusione rapida che finisce per non risparmiare località, come la nostra San Daniele, dove di ebrei c’è tutt’al più la memoria. È, come dice lo storico friulano Valerio Marchi, un “antisemitismo senza ebrei” che è un’ulteriore riprova di quanto radicata sia questa gramigna impastata di odio e pregiudizi che tracima, ormai non così tanto di rado, in azioni eclatanti se non nella violenza.

Sì, violenza: perché la realtà di cui stiamo parlando è ben rivelata, in tutta la sua cruda concretezza, dall’imponente aumento in Europa di quelli che la letteratura scientifica definisce pudicamente “incidenti antisemiti”. Nella terra che ospita la comunità ebraica più numerosa di tutto il Vecchio Continente, la Francia, i crimini d’odio contro gli ebrei registrati nel corso del 2018 sono stati 541, con un aumento rispetto all’anno precedente di ben il 74%.

Non va meglio nel Paese che ospita la seconda comunità d’Europa, la Germania: qui le aggressioni contro gli ebrei nel 2018 sono state “solo” 62, che vuol dire però quasi il doppio rispetto al 2017 (37). La terra di Goethe, Schiller, Kant e Hegel è stata inoltre funestata da un numero di crimini d’odio contro gli ebrei -la cifra esatta fornita dal Ministero degli Interni è 1.646- mai così alto dai tempi del dopoguerra.

La realtà che queste fotografie ci costringono a contemplare è amara come il commento lapidario che ne fa un giornalista esperto di questo fenomeno come Giulio Meotti del quotidiano Il Foglio, ed è che “gli ebrei stanno tornando a morire in Europa”. È un’affermazione da brividi, ma impossibile da negare proprio come le vittime ebree del terrorismo jihadista della recente stagione dell’Isis. Nel Vecchio Continente gli ebrei non muoiono però solo sotto i colpi dei fucili automatici dei volontari della jihad. Gli ebrei d’Europa, e non solo quelli, muoiono ogni santo giorno per l’assalto di un’arma simbolica ma tutt’altro che innocua e, soprattutto, vecchia come la stessa storia del continente: il pregiudizio.

Quando si tratta di documentare l’imbarazzante persistenza di stereotipi sugli ebrei il sociologo non ha che l’imbarazzo della scelta. Potremmo prendere, a titolo esemplificativo, il sondaggio che l’Anti-defamation league (Adl) conduce ogni anno dal 1964 su un campione di migliaia di intervistati residenti in diversi Paesi di Europa, Nord America, Africa e America Latina. Commentando i risultati della rilevazione effettuata l’anno scorso, il presidente Adl si è visto costretto ad ammettere che circa un quarto dei cittadini europei «nutre gli stessi pregiudizi antiebraici che andavano per la maggiore ai tempi dell’Olocausto». Un esempio tra tutti, probabilmente il più emblematico, è la percentuale di intervistati che concorda con l’affermazione secondo cui «gli ebrei hanno troppo potere nel mondo della finanza». A dirsi convinto di una sciocchezza così mostruosa che molto contribuì allo sterminio nazista del popolo di Sion è addirittura il 72% degli ucraini, il 71% degli ungheresi e il 56% dei polacchi.

Prima di concluderne che questo problema sia confinato alle sole terre dell’Est farete bene a confrontare i dati Adl con quelli di un analogo sondaggio commissionato dalla Cnn nel 2018. Ebbene, dei circa settemila europei residenti non solo in Ungheria e Polonia, ma anche in Francia, Germania, Austria e Gran Bretagna, che sono stati sondati in quell’occasione, più di un quarto metterebbe la mano sul fuoco a proposito dello strapotere economico degli ebrei.

La domanda a questo punto è d’obbligo: e il nostro Paese? Cosa pensano gli “italiani brava gente” del popolo contro cui il regime fascista varò indegne leggi razziali prima di dare il proprio imperdonabile contributo al suo genocidio? Una prima risposta ce la offre un fresco sondaggio condotto da Euromedia Research per il quotidiano La Stampa. Ed è una risposta apparentemente incoraggiante, perché ci dice che a credere che gli ebrei dispongano di un «preponderante potere economico-finanziario internazionale» è “solo” l’11,6% dei connazionali.

È, naturalmente, una consolazione relativa. Dietro la quale, peraltro, si celano segni che non ci autorizzano affatto a salutare una ipotetica eccezione italica. I segni di cui parliamo sono anzi scioccanti come i dati statistici che stiamo per rivelare e soprattutto come l’identità della popolazione a cui si riferiscono: quella del Friuli Venezia Giulia.

Il Messaggero Veneto ha potuto visionare in anteprima i risultati dell’unica indagine sull’antisemitismo mai condotta nella nostra regione e di cui è imminente la pubblicazione. Condotta quattro anni fa da un’equipe dell’Università di Udine composta dalla storica delle religioni Maddalena Del Bianco, dalla sociologa Laura Bergnach e dall’assegnista Francesca Cavarocchi, la ricerca si è avvalsa della più sofisticata metodologia statistica per misurare con precisione la diffusione del sentimento antisemita in Fvg. Ciò che ne è emerso è una realtà dolorosa e purtroppo imponente come la percentuale di intervistati , il 41,7%, che condivide “completamente” o “abbastanza” la seguente affermazione: «Penso che gli ebrei riescano a controllare l’economia e la finanza internazionale».

Se a questi dati accostiamo la svastica di San Daniele, la conclusione è a questo punto automatica: lungi dal trasudare solo valori universali, solidarietà e bellezza, la nostra regione è infettata non meno di altre terre da quella che Marchi definisce «una malattia endemica dell’Europa che riemerge ciclicamente. Come sempre è capitato nella storia, viviamo oggi in un clima di tensione, di conflitti, di paure, e di mezzo -guarda caso- ci sono i soliti ebrei».

Sono gli ebrei che complottano, insomma, che manovrano occultamente il mondo con la loro fantomatica lobby e i suoi sterminati capitali. Transfert novecenteschi di antichi luoghi comuni come, per dirla con Marchi, «l’ebreo che avvelena i pozzi, o quello che svena i fanciulli per cavare il sangue e fare le paste di sangue». Stereotipi duri a morire che testimoniano, nel parere dello storico, come l’antisemitismo sia «parte integrante della nostra storia, della storia d’Europa, almeno dai tempi di S. Agostino».

Una storia che prosegue ininterrotta fino ad oggi atterrando in una San Daniele Judenrein (priva di ebrei) e ciononostante sfregiata da una invereconda svastica. Un simbolo che non sorprende però Marchi, per il quale esso «dimostra ancora una volta l’esistenza di un paradosso singolare, ossia che l’antisemitismo esiste anche a prescindere dalla presenza degli ebrei o di attività che siano specifiche espressioni dell’ebraismo».

È, appunto, l’antisemitismo senza ebrei, che non può e non deve fare meno paura di quello che, come ricorda Meotti, «si registrava il secolo scorso in terre che sono state la culla dell’ebraismo, come la Polonia e gli altri Paesi dell’Est. Paesi dove fino al giorno prima c’era una fortissima presenza ebraica che è letteralmente scomparsa da un giorno all’altro».

Se a San Daniele non ci sono ebrei, vi sono però le tracce di una presenza secolare ben testimoniata dal cimitero israelitico che sorge fuori porta oggetto non a caso di atti vandalici tempo addietro. E c’è, soprattutto, un simbolo pregnante e niente affatto invisibile come le mura della casa di Szorenyi.

Ma perché colpirlo proprio in quel modo, e perché proprio adesso? Marchi un sospetto ce l’ha, ed è che ci ritroviamo davanti «a un riflusso della visibilità che viene data agli ebrei in occasione della Giornata della Memoria, che ricordiamo si è celebrata pochi giorni prima di quei fatti, e in particolare della visibilità che la stessa figura di Szorenyi ha ottenuto sulla stampa locale. Non voglio esaltare il presunto potere del Messaggero Veneto, ma mi tocca ricordare che il giornale l’anno scorso pubblicò una pagina intera su Szorenyi scritta da me e che pochi giorni fa è stato pubblicato un altro articolo. È naturale quindi» -conclude il biografo del primo e unico sindaco ebreo di Udine, Pietro Morpurgo- «che in questo modo si venga a creare un simbolo proprio come Anna Frank. Un simbolo da colpire in momenti di crisi come questa».

Dell’esistenza di un effetto boomerang generato dalla sovraesposizione che gli ebrei e la Shoah ottengono ogni anno il 27 gennaio è convinto anche l’uomo che più di tutti dovrebbe essere preoccupato in questo momento e che invece nega ripetutamente e convintamente che vi sia uno specifico allarme antisemitismo in Fvg: Alessandro Salonichio. Nel considerare anche lui non casuale la coincidenza temporale tra la Giornata della Memoria e i fatti di San Daniele, il presidente della Comunità Ebraica di Trieste e del Fvg avanza una considerazione condivisa ormai da una parte non marginale dell’ebraismo italiano, dove sono numerosi coloro che – spiega Salonichio- «vedono nitidamente il rischio di ricadere in una retorica del ricordo senza che poi si faccia nulla di concreto nel contrasto dell’antisemitismo».

Quando gli chiediamo se si senta almeno confortato dalla compatta reazione di San Daniele, ma anche dall’ampia discussione innescata dalla croce uncinata, Salonichio risponde reiterando lo stesso concetto. «Sicuramente ci fa piacere», osserva, «tuttavia siamo consapevoli che c’è anche il rovescio della medaglia. Spesso infatti si finisce per fare pubblicità a chi può cadere poi in atti di emulazione. Questo è il classico esempio in cui l’informazione, anziché giovare, crea il problema opposto, ossia stuzzicare la volontà di qualche personaggio poco intelligente desideroso di mettersi in evidenza». Il consiglio di Salonichio è dunque di «evitare di attribuire eccessiva importanza a episodi di portata minore, proprio per impedire che certi stupidi possano pensare di finire sul giornale tracciando un semplice segno sul muro della casa di un ebreo».

L’obiezione che doverosamente avanziamo al n. 1 della Comunità è la stessa che ci propone Valerio Marchi, convinto che l’episodio di San Daniele sia «un fatto inedito per il nostro territorio. L’unico precedente che mi viene in mente», racconta Marchi, «sono gli atti vandalici compiuti tanti anni fa nel cimitero israelitico di San Daniele. In questi casi però non è mai chiara la matrice antisemita dei fatti, che possono aver avuto come protagonisti dei semplici balordi».

Nel caso della svastica, invece, quella matrice c’è ed è vistosa. Ed è su questo punto che richiamiamo l’attenzione di Salonichio. Il quale, pur senza negare l’oggettiva gravità di quanto successo, ribadisce la sua convinzione che non vi sia alcun allarme. «Dal nostro punto di vista», spiega Salonichio, «la situazione non è diversa da quella di due o tre anni fa, quando si sono verificati episodi non voglio dire simili ma comunque spiacevoli. Vorrei quindi evitare che fatti come quello di cui stiamo parlando facciano percepire alla nostra comunità che è in pericolo. Va ribadito invece che la situazione è costantemente monitorata dalle forze dell’ordine, e che tutte le istituzioni locali e regionali hanno manifestato solidarietà senza distinzioni di schieramento. Siamo inoltre confortati da fatto che gli episodi di antisemitismo verificatisi negli ultimi tempi hanno avuto un immediato riscontro da parte delle autorità inquirenti, che hanno prontamente individuato gli autori dei danneggiamenti alla vetrata della nostra sinagoga, che è stato senz’altro il caso più grave degli ultimi anni».

Non si poteva a questo punto non interrogare Salonichio su una questione a noi ben nota dai tempi in cui, dovendo moderare a Udine un dibattito sull’antisemitismo con esponenti della comunità ebraica quali relatori, abbiamo dovuto attendere che gli artificieri delle forze dell’ordine verificassero l’assenza in sala di ordigni esplosivi. Come ci si sente a vivere blindati in casa propria?

La risposta del presidente della comunità di Trieste è anche in questo caso improntata al realismo. «È dai tempi dell’attentato alla Sinagoga di Roma del 1982», spiega, «che gli ebrei italiani sono abituati ad avere una tutela delle forze dell’ordine per ciascuna delle attività svolte, siano esse religiose o di altro tipo. Per quanto ci riguarda, noi ci sentiamo tutelati sia a Trieste, dove vive la parte preponderante della nostra comunità, sia nel resto della regione».

Ma cosa intendete fare dopo quello che è successo a San Daniele?  E questa è la volta in cui il prudente capo della comunità ebraica sfodera tutta la propria determinazione. «Non ci lasceremo intimorire né staremo zitti», tuona Salonichio prima di riferirci della «decisione appena presa del Consiglio della nostra comunità di costituirci parte civile nel caso relativo alle lettere antisemite trasmesse ai consiglieri comunali di San Daniele».

Perché gli ebrei potranno essere ancora, con grande vergogna dell’Europa, i perseguitati per antonomasia. Bersagli che hanno però imparato a difendersi: citofonare a Israele.

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