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Come saranno spartiti i proventi del petrolio in Libia?

Pubblicato il 01/07/2020 - Start Magazine

L’intesa concepita da Noc, Onu e Usa va a recepire, modificandola parzialmente, la proposta fatta a suo tempo da Haftar di creare un conto in cui versare i proventi delle esportazioni petrolifere della Libia.

Potrebbe essere solo un pannicello caldo, oppure – nella versione più ottimista – la chiave per sciogliere il nodo più intricato della crisi libica: lo sblocco della produzione dei pozzi petroliferi libici e la spartizione dei relativi proventi tra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Sta di fatto che ieri, dopo le ripetute rivendicazioni di Haftar, dei russi e dei loro rivali turchi su quanto sgorgava dai pozzi libici, è spuntata una proposta transitoria volta a chetare le opposte rivalità.

Porta la firma, oltre che della National Oil Corporation, della missione Onu in Libia (Unsmil) rinvigorita dalla nomina della statunitense Stephanie Williams subentrata al dimissionario Ghassan Salamé, ma anche degli Usa, che nelle ultime settimane – anche se non soprattutto a causa del crescente attivismo russo nella nostra ex colonia – hanno riacceso i riflettori su una crisi da loro ignorata per lungo tempo e hanno anche compiuto una visita lampo a sorpresa agli opposti campi di Tripoli e del LNA.

Secondo quanto ha appurato “Agenzia Nova” da due diverse fonti libiche al corrente del dossier, l’intesa concepita da NOC, Onu e Usa va a recepire, modificandola parzialmente, la proposta fatta a suo tempo da Haftar di creare un conto in cui versare i proventi delle esportazioni petrolifere.

La proposta prevede infatti, oltre alla rimessa immediata in funzione degli impianti, l’apertura di un conto corrente in Libia, che sarebbe però “bloccato” dalla Noc per almeno quattro mesi: una soluzione pensata per offrire tempo alle parti contrapposte di trovare un accordo definitivo sulla distribuzione dei proventi fra le tre regioni storiche del paese, ossia il Fezzan (sud-ovest), la Tripolitania (ovest) e Cirenaica (est), ma anche per consentire alla produzione di ripartire al più presto dopo il blocco deciso da Haftar lo scorso gennaio scongiurando ulteriori danni alle infrastrutture già molto deteriorate.

Per quanto sia ben congegnato, il piano ha tuttavia scarse possibilità di successo. Di questo almeno sono convinte le fonti consultate da Agenzia Nova, una delle quali scommette al 50% su una sua riuscita. Ma è una terza fonte sentita dalla stessa agenzia a spiegare i motivi per cui la strada di questa intesa è tutta in salita.

Secondo questa fonte, infatti, sarebbero i russi a voler boicottare la proposta dopo che la settimana scorsa i mercenari del Wagner Group si sono presentati nel campo di Shahara con intenzioni poco limpide. Come spiega la stressa fonte, “i russi stanno facendo la spola tra Sharara, El Feel e gli altri giacimenti della zona (e sembra che vi) stiano installando delle postazioni di difesa anti-aerea per timore di un’avanzata turca”.

La rivelazione della fonte trova riscontro anche in quanto hanno riferito alla stessa “Agenzia Nova” fonti delle tribù della Libia meridionale, secondo le quali i mercenari russi starebbero installando entro i campi delle piattaforme per il lancio di droni armati.

Secondo Agenzia Nova, per quanto tali indiscrezioni debbano essere prese con il beneficio d’inventario, non possono nemmeno essere sottovalutate.

Esse segnalerebbero infatti la crescente preoccupazione delle varie tribù Awlad Suleiman (arabi), Tuareg (berberi) e Tebu (etnico sahariani di ceppo etiope) di essere scalzate da un nuovo attore come la Russia dopo che per anni ci si è avvalsi di loro per fornire sicurezza alle compagnie petrolifere della zona.

Le mani russe sul petrolio libico sono comunque qualcosa che non rimarrà senza conseguenze, come dimostra la proposta congiunta degli Usa con Onu e NOC che, se come pare è destinata ad essere rigettata, non resterà senza risposta da parte di Washington.

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