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Così si abdica a diventare capitale della cultura

Pubblicato il 01/04/2019 - Messaggero Veneto

di Marco Orioles

Appartengo, non faccio alcuna fatica ad ammetterlo, all’esigua schiera di udinesi che ha espresso critiche a Vicino/lontano. Lo feci con particolare determinazione in occasione della terza edizione del festival, nel lontano 2007, che ebbe come ospite d’onore l’ex presidente dell’Iran Mohammed Khatami. Contestai con veemenza l’accoglienza solenne riservata ad un esponente di primo piano di un regime oppressivo e oscurantista colpevolmente accreditato dagli organizzatori come campione del dialogo tra mondo islamico ed Occidente. La vistosa contraddizione tra quel biglietto da visita e la realtà di un Paese sottoposto alla più brutale delle dittature e ai rigori di un’impresentabile teocrazia smascherava, a mio modo di vedere, un nefasto pregiudizio ideologico e una buona dose di frusti stereotipi: quelli, in particolare, secondo cui tutto ciò che viene da Oriente è bello in sé, specie se posto a confronto con un Occidente cui si addita la responsabilità di tutti i mali che funestano l’uomo contemporaneo.

Per un festival che ama presentarsi come costruttore di ponti, l’invito a Khatami rappresentava, a mio modesto modo di vedere, un passo falso clamoroso ma non sorprendente: era anzi un atto così tipico di un’intellighenzia progressista, di cui Vicino/lontano è un esemplare distillato, la cui visione del mondo è piagata da vistosi paradossi. La mia critica, in ogni caso, era di metodo, non di sostanza. Ben vengano infatti le occasioni di confronto con rappresentati di mondi lontani, a maggior ragione se incarnano ideologie lontane dalle nostre sensibilità. Ma sarebbe opportuno non farli sentire troppo a loro agio, calando le braghe, sottoponendoli semmai al più duro degli interrogatori. Cosa che, nel 2007, mancò del tutto. Trattato con tutti gli onori e financo con riverenza, Khatami non si sentì rivolgere alcuna domanda sulla repressione del dissenso in Iran, sull’odioso trattamento delle donne, o sulla corsa al nucleare che proprio allora si era imposta come il problema di sicurezza n. 1 in Medio Oriente. Mai mi sarei mai sognato però di contestare il festival in sé. Che, anzi, rappresenta da tre lustri a questa parte una formidabile opportunità per i concittadini di assistere ad approfondite discussioni sui temi chiave dell’evo contemporaneo.

Il fatto che la giunta Fontanini consideri ora Vicinolontano come qualcosa di marziano, di estraneo alle istanze di questo territorio, rappresenta il segnale di un ripiegamento culturale a dir poco problematico. Di una volontà di rinunciare, cioè, a presidiare ed alimentare il dibattito pubblico su argomenti che, piaccia o non piaccia, ai friulani interessano e anche molto. Al Sindaco e ai suoi sodali, probabilmente, è sufficiente che Udine sia la capitale del Friuli. Che, una volta l’anno, diventi capitale della cultura è qualcosa che non colpisce la loro immaginazione. Si chiama abdicazione, e non è un bello spettacolo.

Fontanini PIetroMessaggero VenetoUdine
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