skip to Main Content

Una comunità che non fa proselitismo

Pubblicato il 30/10/2015 - Messaggero Veneto

L’apertura di un terzo luogo di culto islamico a Udine divide la cittadinanza per ragioni comprensibili. La penetrazione dell’islam nel nostro paese avviene in un momento storico in cui l’islam fa notizia in associazione all’estremismo, alla militanza violenta e alla guerra. Per i residenti del quartiere in cui la moschea aprirà i battenti non sarà facile sfuggire all’impressione di essersi ritrovati sotto casa una fabbrica di fenomeni che si sarebbe preferito tenere a distanza. Ben consci di tutto ciò, i fondatori del centro hanno subito lanciato messaggi rassicuranti, invitando all’inaugurazione le principali autorità civili e religiose. Naturalmente, i più diffidenti riterranno tale operazione strumentale se non dissimulatoria. A costoro, così come a chi non conosce la complessità di una realtà religiosa che copre una porzione significativa della superficie terrestre e un miliardo e mezzo di fedeli, sarà bene rammentare che la principale caratteristica dell’islam è la sua frammentazione. L’immagine che ci è più familiare, fatta da integralisti che opprimono le donne o inneggiano alla guerra santa, corrisponde senz’altro ad una realtà tangibile e in tragica espansione. L’apprensione per il dilagare del fanatismo e della violenza sacra deve tuttavia accompagnarsi alla consapevolezza dell’esistenza, all’interno del perimetro islamico, di svariate correnti e interpretazioni che solo sporadicamente collimano con le idee nutrite dai sanguinari combattenti dello Stato islamico o dai bellicosi ayatollah iraniani. Lo stesso califfo Abu Bakr al-Baghdadi è l’icona delle contorsioni dell’islam contemporaneo: nel caso specifico, quella di un leader che dichiara di ispirarsi ai suoi predecessori del califfato abbaside ma che non ne potrebbe essere più lontano. Quella stagione dell’islam, collocata tra VIII e XIII secolo, fu scandita infatti da elementi che l’ISIS aborrisce: la coltivazione delle arti, la sensualità, persino la tolleranza religiosa. È in questo cortocircuito della storia e in questo fascio di contraddizioni che si inserisce l’avvento della terza moschea udinese. L’associazione che la sostiene è espressione di un movimento, il Tablighi Jama’at, che sorge un secolo fa dallo stesso brodo di coltura – la riforma puritana dell’islam indiano – da cui sono scaturiti i talebani. Ma il tratto distintivo di questa organizzazione lo rende inassimilabile al famigerato gruppo che continua ad imperversare in Afghanistan come alle altre formazioni militanti che hanno flagellato la storia contemporanea: l’assoluta estraneità alla politica. La missione del movimento è condensata nella parola stessa, Tablighi, che significa “predicazione”: i suoi seguaci si adoperano nel sensibilizzare all’autentico messaggio di Maometto i propri correligionari, senza fare proselitismo. Scegliendo di chiamarsi “I pacifici di Udine”, la nuova associazione lancia dunque un messaggio che va valutato con attenzione, ovviamente non sulla carta ma in base alle attività che promuoverà a partire da sabato in un quartiere difficile della città.

 

Friuli Venezia GiuliaimmigrazioneIslamMessaggero VenetoMusulmani in FvgUdine
Stampa

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.

Back To Top

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.