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Gli Usa fra Iran, Cina e Turchia

Pubblicato il 17/06/2019 - Policy Maker

In primo piano nel “Taccuino Estero” di questa settimana, l’attacco alle petroliere nel Golfo dell’Oman, lo scontro Usa-Iran e la partita energetica in una zona strategica del mondo spiegati da Francesca Manenti del Cesi. Nella sezione “notizie dal mondo”, gli ultimi sviluppi della crisi Usa-Turchia sul caso S-400, la lettera scritta alla Casa Bianca da 600 produttori e rivenditori al dettaglio Usa preoccupati per i dazi alla Cina,  il “buildup” militare della Russia in Crimea e i trenta F-35 e i mille militari Usa che la Polonia strappa a Trump. La sezione “segnalazioni” è dedicata alla grande partita delle nomine europee in corso tra Strasburgo e Bruxelles.

PRIMO PIANO: L’ATTACCO ALLE PETROLIERE E LA GRANDE PARTITA DELL’ENERGIA NEL GOLFO PERSICO: PARLA MANENTI (Ce.S.I.)

Oltre a provocare una subitanea fiammata dei prezzi del petrolio nei mercato internazionali, gli attacchi avvenuti giovedì scorso a due petroliere che si trovavano nel Golfo dell’Oman – il secondo episodio in meno di un mese in cui dei cargo vengono presi di mira in quel tratto di mare – ha avuto l’effetto di riportare al centro dell’attenzione del mondo uno scontro, quello tra Stati Uniti ed Iran, che si sta consumando in un’area quanto mai strategica del pianeta, zeppa di petrolio ma anche gravata da una conflittualità che tutte le cancellerie temono possa andare fuori controllo.

Ma cosa è successo davvero giovedì e, soprattutto, in che contesto si inserisce un incidente in cui l’amministrazione Trump ha intravisto subito le responsabilità della Repubblica Islamica? A queste domande Francesca Manenti, Senior Analyst del Centro Studi Internazionali di Roma, risponde anzitutto con un invito alla cautela. “Non si sa ancora”, sottolinea Manenti in questa conversazione con Policy Maker, “né con che mezzi è stato condotto l’attacco né quale possa essere la regia”.

Il Comando Centrale Usa tuttavia ha diffuso giovedì sera un filmato realizzato da un ricognitore che sorvolava la zona dell’incidente che documenterebbe in modo inoppugnabile che, nell’attacco, c’è la firma del Guardiani della Rivoluzione. “Le immagini”, osserva la ricercatrice, “mostrano che c’è stato l’avvicinamento alla petroliera di un’imbarcazione probabilmente appartenente ai Guardiani della Rivoluzione il cui equipaggio ha rimosso dalla nave una mina esplosa. Il problema è che non si capisce quando è successo questo episodio e soprattutto perché”.

Anche non sembrano esserci dubbi che il barchino filmato dall’aereo Usa sia dei pasdaran, non possiamo con ciò attribuire loro con certezza l’attacco di giovedi. Manenti fa notare che “le autorità iraniane sono solite andare a studiare dispositivi bellici usati nella regione”. Quell’imbarcazione, in altre parole, si sarebbe presentata sul luogo del delitto “non certo per andare a coprire le tracce, visto che gli iraniani sono ben consapevoli delle capacità di osservazione degli americani nell’area, quanto per andare a recuperare un ordigno che poi poteva essere analizzato”.

Siamo naturalmente, riconosce l’analista, “nel campo delle ipotesi” che dovranno tutte essere passate al vaglio. Ed esattamente come le altre, rimane in piedi la possibilità, che la ricercatrice ammette, che gli americani abbiamo ragione e che dietro l’attacco alle petroliere ci siano “quelle frange ultraconservatrici iraniane che in questo momento stanno cercando di fomentare un ritorno ad una narrativa di conflittualità nel confronto degli Stati Uniti”.

Di una cosa si può essere certi, secondo Manenti: chiunque sia stato, è un attore che ha deciso di “colpire un settore strategico per i mercati internazionali”. Non possiamo dimenticare, precisa la studiosa, che “la regione del Golfo è uno dei principali hub di produzione di petrolio, una regione in cui il discorso energetico diventa automaticamente geopolitico”. Una regione in cui “da una parte troviamo una Penisola arabica che annovera Paesi che sono tra i principali produttori di greggio al mondo, e dall’altra l’Iran, che era uno dei principali produttori ed esportatori di petrolio ma che gli Usa hanno deciso adesso di tagliare fuori dal mercato”.

Già, le sanzioni americane. Sono entrate in vigore lo scorso autunno, mentre a maggio sono scadute le esenzioni con cui l’amministrazione Trump aveva concesso ad un gruppo di ristretto di Paesi del tempo extra per trovare delle alternative al greggio di Teheran. L’obiettivo degli Usa, ora, è azzerare l’export dall’Iran. Ci riusciranno?

Manenti non ne è così sicura. “La decertificazione dell’accordo sul nucleare del 2015, il Jcpoa, è avvenuta unilateralmente da parte dell’America”, e questo non è andato giù né agli altri firmatari del patto, né ai Paesi che importavano petrolio dall’Iran e avevano preso a fare affari con la Repubblica Islamica e che in teoria non potranno farlo più a causa del dispositivo sanzionatorio Usa. Ecco perché questi Paesi, osserva Manenti, “stanno cercando di capire se le sanzioni sono aggirabili”.

Sono due in particolare “le soluzioni al vaglio di chi ha interesse a continuare ad acquistare il petrolio iraniano e a commerciare con l’Iran”, sottolinea l’esperta. C’è la strada scelta dall’Europa, la quale “già a partire dalla decertificazione del Jcpoa da parte dell’amministrazione Trump ha cercato di capire come formulare un meccanismo che faccia da scudo alle sanzioni Usa”.

A tal fine, l’Ue ha varato questo inverno uno Special Purpose Vehicle che ha chiamato “Instex”: uno strumento la cui ragion d’essere sta nel fatto, osserva Manenti, di “utilizzare, per scambiare petrolio e merci con l’Iran, non il sistema finanziario internazionale, ma un nuovo sistema che permette di proteggere i paesi e le aziende europee dalle sanzioni”. La sua genesi è stata lenta e faticosa, ma Instex parrebbe essere pronto a decollare: in visita a Teheran la settimana scorsa, il ministro degli Esteri tedesco, nota Manenti, “ha rassicurato la controparte iraniana della effettiva entrata in funzione di questo meccanismo nei prossimi mesi”.

Il metodo che i paesi asiatici, grandi importatori di greggio iraniano, starebbero contemplando per aggirare le sanzioni americane è invece un altro ed è, ci dice l’esperta, “la possibilità di acquistare il petrolio con una valuta diversa dal dollaro”. Qui spicca la Cina, la quale “sta guardando con interesse alla possibilità di utilizzare la propria moneta come valuta di scambio per le importazioni di petrolio”.

Non meno dell’Instex, questa soluzione presenta però incognite di tipo sia politico che finanziario. Si tratterebbe infatti di sfidare apertamente una campagna, quella anti-iraniana della Casa Bianca, che vede Trump e i suoi più stretti collaboratori impegnati a testa bassa e senza esclusione di colpi, come dimostra l’invio a maggio nel Golfo Persico di uno Strike Group capitanato dalla portaerei Abraham Lincoln e di uno squadrone di bombardieri B-52.

Ma è dal punto di vista finanziario che la sfida si fa ardita. Manenti ricorda infatti che c’è un prezzo da pagare quando si tenta di violare le sanzioni Usa, ed è il rischio della “esclusione dal mercato statunitense”. Una conseguenza inesorabile che né i Paesi europei né quelli asiatici possono contemplare con serenità.

Ecco perché secondo Manenti la questione del che fare con le sanzioni Usa, e con un governo americano che ha deciso di sbrogliare “con un approccio muscolare” un nodo di grande complessità quale quello iraniano, “è il grande banco di prova dell’Unione Europea”. Si tratta di “una partita di maturità” per un continente chiamato a contemperare “la necessità di mantenere il rapporto strategico con gli Stati Uniti e quella di salvaguardare i propri interessi”.

 


TWEET DELLA SETTIMANA

La Nikkei Asian Review spiega come la Russia, aumentando di quattro volte la produzione di gas naturale liquefatto, mira ad inondare i mercati asiatici.

 


NOTIZIE DAL MONDO

La Turchia minaccia ritorsioni in caso di sanzioni Usa per il caso S-400. Durante un’intervista televisiva, il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha dichiarato che “siamo determinati sul tema degli S-400” e “non faremo un passo indietro”. Quando il giornalista gli ha chiesto cosa pensasse della minaccia americana di punire la Turchia con delle sanzioni, Cavusoglu ha risposto che se “gli Stati Uniti compiranno qualsiasi azione negativa contro di noi, faremo anche noi dei passi reciproci”. Le parole del ministro arrivano mentre alla base Luke dell’aviazione Usa, in Arizona, è stato interrotto anzitempo l’addestramento dei piloti turchi sugli F-35, nonostante il Segretario alla Difesa americano ad interim Patrick Shanahan avesse detto alcuni giorni prima che i piloti turchi che si trovavano negli Usa potevano restare fino alla fine di luglio. Dalla Russia, frattanto, il capo di Rostec, Sergey Chemezov, ha detto martedì ai media turchi che la batteria di S-400 acquistata da Ankara sarà consegnata “entro due mesi”. Nelle stesse ore, Paul Gamble, senior director di Fitch Ratings, faceva sapere che, se implementate, le sanzioni americane alla Turchia avranno un “impatto significativo” sulla quotazione della lira. Approfondisci su Reuters, Reuters, Reuters e Al Jazeera.

Produttori e rivenditori americani scrivono a Trump ammonendolo sui dazi. Più di seicento tra aziende produttrici e rivenditori al dettaglio – tra cui Walmart, Costco, Target, Gap, Levi Strauss e Foot Locker – hanno trasmesso alla Casa Bianca una lettera in cui la mettono in guardia: “ulteriori dazi” contro la Cina “avranno un impatto significativo, negativo e di lungo termine sul business americano, sugli agricoltori, sulle famiglie e sull’economia Usa”. “Un’escalation nella guerra commerciale” – rimarcano gli estensori della missiva trasmessa sotto il titolo “Tariffs Hurt the Heartland” – “non è nel miglior interesse del Paese, e entrambe le parti ci rimetteranno”. I dazi “sono tasse pagate direttamente dalle aziende americane”, sottolineano gli scriventi, contraddicendo l’affermazione con cui il mese scorso il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin, durante un’audizione parlamentare, aveva detto di non attendersi “significativi costi” per i dazi trumpiani. La lettera arriva ad un mese dalla decisione del governo Usa di alzare dal 10 al 25% i dazi su 200 miliardi di merci cinesi che comprendono prodotti come borse e valigie, materassi, biciclette, aspirapolveri e condizionatori. L’amministrazione Trump ha anche minacciato di introdurre dazi su altri 300 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina che colpirebbero beni come giocattoli, vestiti, scarpe, elettrodomestici e televisioni. La questione dazi sarà al centro di un’audizione oggi presso l’ufficio del Rappresentante Usa sul Commercio e la lettera, osserva la Cnn, è stata pensata per influenzarne i lavori. Approfondisci su CNN.

In Polonia 1.000 soldati Usa e una trentina di F-35. L’annuncio è arrivato mercoledì durante la visita alla Casa Bianca del presidente Andrzej Duda, che ha firmato con il collega americano nella cornice del giardino delle rose – mentre un esemplare di F-35 effettuava un sorvolo a velocità ridotta – una dichiarazione congiunta sulla cooperazione militare tra Usa e Polonia. Non di truppe aggiuntive si tratta, ma di uomini che saranno distaccati dal contingente Usa in Germania. Inoltre, ha precisato Trump, i costi saranno sostenuti interamente da Varsavia. Secondo “Military Times”, il nuovo contingente comprenderà reparti di logistica e forze speciali. Sono previsti anche un quartier generale di divisione e la presenza di uno squadrone di droni MQ-9 Reaper. Trump ha anche detto che la Polonia intende comprare una trentina di F-35. Insieme al suo ministro della Difesa Mariusz Blaszczak, Duda ha visionato da vicino i cacciabombardieri di quinta generazione prodotti dalla Lockheed Martin durante una visita il giorno precedente alla base dell’aviazione Usa di Eglin. Approfondisci su Reuters e Military Times.

Putin schiera nuovi uomini e mezzi in Crimea. Immagini satellitari scattate tra il gennaio 2018 e l’aprile 2019 dalla compagina privata Planet Labs mostrano che la Russia ha dislocato nuovi uomini e sistemi d’arma nella penisola di Crimea, dove ha anche ristrutturato basi militari risalente all’era sovietica. Dalle immagini si evince in particolare la presenza di cinque batterie di S-400 ubicate a Kerch, Feodosia, Sebastopoli Dzhankoi e Yevpatoriya, di cinque batterie di S-300 e di vari jet. La Russia, osserva un funzionario dell’intelligence Usa a Defense One, ha già 30 mila uomini in Crimea e conta di aggiungerne altri 13 mila nei prossimi quattro ani. Nella penisola sono presenti poi 81 tra aerei ed elicotteri. Inoltre, alla flotta russa del Mar Nero sono stati aggiunte recentemente dieci navi da guerra in grado di lanciare il missile cruise “Kalibr”, capace di colpire obiettivi a 1.500 miglia di distanza, anche se Mosca starebbe lavorando ad una nuova variante che ha un raggio d’azione di 2.000 miglia. Secondo Sarah Bidgood, direttore dell’Eurasia Nonproliferation Program del James Martin Center del Middlebury College, tutto questo “suggerisce che la Russia è interessata ad esercitare maggiore controllo sul Mar Nero, e ciò le offrirà la capacità di proiettare la propria potenza al di fuori del suo ambiente”. I Kalibr, sottolinea un secondo funzionario d’intelligence americano, permetteranno alla Russia di “colpire obiettivi oltre il Mar Nero, compresa l’Europa meridionale e la Siria”. Approfondisci su Defense One.

 


SEGNALAZIONI: IL GRANDE GIOCO EUROPEO

Tra Strasburgo e Bruxelles, le mosse di partiti e governi dopo le elezioni del 26 maggio raccontate da Politico.eu

  • “L’alleanza di Salvini si chiamerà Identità e Democrazia”: l’articolo di Zia Weise.
  • “L’alleanza Macron-liberali si chiamerà Renew Europe”: l’articolo di Maia de la Baume
  • “Dice Juncker che il Ppe non ha un piano B dopo Weber”: l’articolo di Maia de la Baume
  • “La Lettonia rimanda Dombrovskis nella Commissione”: l’articolo di Bjarke Smith Meyer
  • “Un patto che potrebbe comportare posti di spicco per Verhofstadt e i conservatori”: l’articolo di David M. Herszenhorn e Maia de la Baume

 


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