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Il dilemma dei foreign fighters: e ora che ne facciamo?

Pubblicato il 01/03/2019 - Il Friuli

di Marco Orioles

L’Europa preferirebbe dimenticarsene. Ma non può. L’America, infatti, domanda ora ai governi del Vecchio Continente di riprenderseli, e di occuparsene. Lo ha fatto, come accade sempre da due anni a questa parte, in 280 caratteri. Gli Stati Uniti”, ha scritto Donald Trump sul suo profilo Twitter il 17 febbraio, “chiedono a Gran Bretagna, Francia, Germania e ad altri alleati europei di riprendersi e processare gli oltre 800 combattenti dell’Isis che abbiamo catturato in Siria. L’alternativa non è buona perché saremmo costretti a rilasciarli”. Il problema sollevato dal capo della Casa Bianca è di quelli che potremmo pudicamente definire un grattacapo. Quegli ottocento jihadisti che hanno combattuto per l’utopia sanguinaria del califfo Abu Bakr al-Baghdadi, e che oggi giacciono sconfitti nelle galere curde, godono infatti in gran parte di cittadinanza e passaporto Ue. Il loro destino, quindi, non può che essere il ritorno in quelle patrie che abbandonarono anni fa quando decisero di unirsi al progetto eversivo delle bandiere nere. Progetto di cui, ora, saranno chiamati a rispondere nei nostri tribunali. Processarli, come chiede Trump, non sarà tuttavia semplice. Bisogna disporre di prove e testimonianze della loro colpevolezza; raccoglierle, nel confuso contesto della guerra civile siriana, non è cosa scontata. Quand’anche si arrivasse ad una sentenza di condanna, ci ritroveremmo poi con un problema spinoso: la presenza, nelle nostre carceri, di pericolosi terroristi che contagerebbero gli altri detenuti, innescando un processo di radicalizzazione dai sicuri effetti devastanti. Senza contare che, una volta scontata la pena, i nostri servizi di intelligence sarebbero costretti a tenerne attentamente monitorati i movimenti per lunghi anni. Ecco perché i governi europei sperano in un’alternativa. Alla quale sta pensando, nel frattempo, anche l’America. Un funzionario del Dipartimento di Stato ha confidato che, se l’opzione migliore rimane il rimpatrio e un processo nei Paesi di origine, in caso di indisponibilità da parte di questi ultimi c’è sempre la possibilità di rinchiudere tutti a Guantanamo, la prigione costruita dagli Usa a Cuba per custodirvi i seguaci di Osama bin Laden e dei talebani. Resta, in ogni caso, un altro problema: le migliaia di mogli e figli dei jihadisti europei che languono nei campi profughi siriani. Seguiremo tutti l’esempio della Gran Bretagna, che ha appena tolto la cittadinanza ad una giovane londinese che scelse nel 2015 di diventare una “sposa dell’Isis”?

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