skip to Main Content

Il drone iraniano abbattuto da Israele? Era siriano. Parola del vice-ministro degli esteri di Teheran

Pubblicato il 22/02/2018 - Formiche

Gli attacchi indiscriminati su Ghouta Est? “Sfortunatamente in Siria tutti attaccano tutti”. Il drone che Teheran ha mandato in esplorazione in Israele? “Apparteneva all’esercito siriano”. L’abbattimento del F-16 di Gerusalemme? “Uno sviluppo molto importante e penso che ora gli israeliani dovranno riconsiderare le loro politiche militari”. Le manovre iraniane nel Levante? “Sono costruite per combattere le politiche egemoniche del regime israeliano nella regione e per respingere l’aggressione”. La proposta americana di modificare l’accordo sul nucleare? “Non c’è modo di sistemare o cambiare o alterare il Jcpoa, è un pacchetto di dare ed avere, non puoi cambiare un pezzo di questo senza cambiare tutto. Se cade il Jcpoa, cadono le restrizioni sul nostro programma nucleare”.

È la versione del vice ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, che in visita in Europa in questi giorni è stato intercettato dalla Bbc cui ha concesso una lunga intervista. Un colloquio in cui Araqchi presenta la versione iraniana dei fatti, nettamente diversa da quella che siamo usi leggere nei nostri giornali. Un’opportunità, dunque, per conoscere il pensiero iraniano su una serie di temi di cui la stampa si sta occupando sistematicamente da mesi, se non da anni, e per capire la prospettiva di Teheran.

Per quanto concerne anzitutto i bombardamenti a Ghouta Est, il sobborgo di Damasco che da settimane è al centro di un assedio feroce da parte delle forze governative spalleggiate dagli aerei russi, Araqchi minimizza. “Abbiamo cominciato un processo fondamentale con la Russia e la Turchia, e il processo ha avuto successo nel senso che ha permesso la creazione di alcune de-escalation zones. Col risultato che la tensione è scemata in molte aree della Siria”. Sì, ma anche Ghouta faceva parte della lista delle de-escalation zones ed è stata attaccata lo stesso, e il bilancio dei morti è spaventoso: “Ci sono troppi attori e la situazione è diventata molto complicata in diverse aree della Siria. In questo caso particolare siamo in stretto contatto con il governo siriano per cercare di capire come possiamo procedere verso una de-escalation e inviare assistenza umanitaria”.

Quanto è preoccupato il vice-ministro per la situazione siriana, che è sull’orlo di una degenerazione con numerosi micro-conflitti che si aprono parallelamente, in alcuni dei quali c’è anche lo zampino di Teheran. Teme che l’Iran possa ritrovarsi in guerra? “La paura della guerra”, risponde Araqchi, “è dappertutto nella nostra regione a causa dell’interferenza di potenze straniere, di politiche e di calcoli sbagliati da parte di alcuni attori interni alla regione, e naturalmente delle politiche egemoniche del regime israeliano. Per il momento siamo in stretto contatto con la Russia e la Turchia, con le quali abbiamo messo in piedi un processo granitico”.

Che questo intreccio di alleanze, strategie ed interessi impedisca una conflagrazione generale o la faciliti è cosa su cui Araqchi non si pronuncia. Il vice-ministro si impettisce piuttosto per un episodio recente, l’abbattimento del jet israeliano da parte della contraerea siriana, causato dallo sconfinamento di un drone iraniano partito da una base siriana. Su questo cosa ha da dirci? “Il fatto è che il jet israeliano è stato abbattuto dalle forze siriane e questo è davvero un duro colpo all’esercito israeliano, è per questo che sono molto arrabbiati”. Ma qual era la missione del drone che l’Iran ha mandato in avanscoperta in Israele? La risposta di Aramqchi è secca: quello non era un nostro drone, ma “apparteneva all’esercito siriano”. Sì, ma è stato l’Iran a mandarlo in Israele, aggiungiamo noi. “Non posso confermarlo. L’esercito siriano ha molte capacità. Ma il fatto è che l’esercito israeliano manda droni su base quotidiana in tutta la Siria e in altri paesi vicini. Così non dovrebbero arrabbiarsi se sono costretti a misurarsi con qualcosa che loro fanno agli altri su base quotidiana”.

L’Iran, che è tra le potenze vincitrici della guerra civile siriana, è accusata di approfittare della situazione per stabilire un controllo egemonico dei territori riconquistati. Si pensa che voglia dare vita ad un corridoio terrestre che colleghi l’Iran al Mediterraneo, permettendo un facile transito di uomini, mezzi e armi da Teheran a Beirut. Che cosa ne pensa di questa accusa? “Noi siamo in Siria a combattere terroristi, e siamo lì su invito del governo siriano per aiutarlo a ristabilire la pace, la stabilità e l’integrità territoriale della Siria. Continueremo a rimanere fino a quando il governo siriano ci chiederà di aiutarlo a combattere i terroristi e a stabilire pace, ordine e stabilità”.

Ma la vostra ambizione è anche rafforzare l’Iran? “La nostra posizione è di combattere le politiche egemoniche di Israele nella regione e di respingere le aggressioni israeliane”. Lo possiamo chiamare un asse della resistenza? “L’asse della resistenza è sempre stato lì, da quando Hezbollah e il governo siriano combattono per esso. Le forze israeliane hanno attaccato il Libano in passato, tutti ricordiamo quando hanno occupato Beirut. E tutti ricordiamo il 2006 quando hanno invaso il sud del Libano. Io penso che il Libano, la Siria e altri paesi della regione hanno tutto il diritto di stabilire una sorta di resistenza contro queste aggressioni di Israele”.

Ma non teme che alla fine Israele, osservando i vostri movimenti in Siria, prenda la decisione di muovere guerra contro di voi? “Noi non abbiamo paura di niente. Personalmente non penso che ci sia qualcosa di cui preoccuparsi, ma naturalmente siamo preparati per ogni scenario, e penso che siamo abbastanza in grado di difenderci da qualsiasi tipo di aggressione da parte di Israele o di altri paesi dentro o fuori della regione che desiderassero attaccarci. Ma non penso che la Siria sia il posto per un’altra proxy war nella regione, penso che la Siria sia di stufa di queste politiche aggressive e non vedo la possibilità di un nuovo conflitto nella regione, ma credo certamente che se un nuovo conflitto fosse cominciato da Israele, sarebbero loro a soffrirne di più”.

Veniamo ora all’accordo sul nucleare, la cui sorte è periclitante a causa dell’intenzione dell’amministrazione Trump di denunciarlo per chiederne alcune modifiche e integrazioni. Qual è la posizione iraniana al riguardo? “Il Jcpoa è in un momento molto critico, nei prossimi tre mesi sono sicuro che ci sarà una grande sfida. Naturalmente questa è una sfida perché il presidente Trump ha cominciato più di un anno fa a cercare di distruggere il Jcpoa in quanto non c’è modo di sistemarlo o cambiarlo o alterarlo, è un pacchetto di dare e avere, non puoi cambiare un elemento altrimenti l’intero pacchetto collasserebbe. Trump ha fallito in questo primo anno e ora tocca agli europei cedere se vogliono misurarsi con un ultimatum da parte degli Usa. Il Jcpoa è un accordo molto importante nel campo della non proliferazione. E se lo perdiamo, avremo solo un problema molto complicato in una regione che già soffre per diversi problemi, siano essi guerre civili o tensioni o conflitti e, naturalmente, terrorismo ed estremismo. Non penso che aggiungere un’altra crisi porti beneficio ad alcuno”.

Gli americani hanno però scritto agli europei chiedendo loro di lavorare insieme per studiare un supplemento al Jcpoa che prenda di mira lo sviluppo i test di missili a lungo raggio da parte dell’Iran, preveda ispezioni più intrusive da parte dell’IAEA e affronti la questione delle cosiddette sunset clauses. Su questi punti però Araqchi è netto. “Il Jcpoa non ha alcuna connessione con altri temi. Quando lo abbiamo negoziato abbiamo deciso di separare il programma nucleare iraniano da ogni altro tema. (…) Il Jcpoa non può essere riaperto, rinegoziato, non c’è alcun supplemento possibile, nessuna aggiunta, niente”.

Eppure il presidente Trump sembra deciso nel volervi mettere in difficoltà a, dichiarando che siete in violazione degli accordi e annunciando spesso di voler introdurre nuove sanzioni punitive. “Sa”, è il commento di Araqchi, “ogni volta che il presidente Trump fa pubbliche dichiarazioni contro il Jcpoa dicendo che è un pessimo accordo, che è il peggior accordo di sempre, che ha intenzione di sistemarlo, tutte queste dichiarazioni sono una violazione dell’accordo. Se lei vede il paragrafo 28 dice che tutti i partecipanti del Jcpoa dovrebbero astenersi dal fare qualsiasi cosa che vada contro l’implementazione del Jcpoa, incluse dichiarazioni pubbliche da parte di stupidi politici.”

Ma se gli americani decidessero di ritirarsi unilateralmente dal Jcpoa, come vi comportereste? “Noi siamo preoccupati che gli Stati Uniti alla fine decidano di uscire dall’accordo. Ci siamo preparati per ogni scenario. Non siamo convinti che il Jcpoa collasserebbe senza gli Usa. Dipende dagli altri partecipanti del Jcpoa convincere gli iraniani che possono conservarlo lo stesso, anche senza gli Usa. Ma la cosa importante è che siamo preparati ad ogni scenario che possa accadere”.

Per esempio, riattivereste il vostro programma nucleare? “Naturalmente non saremo noi i primi a violare l’accordo. Ma ovviamente se non c’è più alcun accordo non ci sono più nemmeno restrizioni per il nostro programma nucleare”.

FormicheGuerra civile sirianaIranIsraeleMedio Oriente Nord AfricaMENA - Medio Oriente e Nord AfricaSiriaTrumpUsa
Web

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.

Back To Top

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.