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Il terrore jihadista in Europa

Pubblicato il 26/01/2016 - Messaggero Veneto

L’ultimo video della propaganda jihadista conferma la nuova strategia dello Stato islamico, bramoso di portare il terrore sul suolo europeo. I protagonisti del filmato sono infatti i nove membri del commando che ha colpito Parigi lo scorso 13 novembre, presentati coi rispettivi nomi di battaglia. Parlano in francese con sottotitoli in inglese, affinché le loro minacce siano comprensibili a tutti noi, che ne siamo i destinatari. Sono a volto scoperto, impettiti per l’imminente sacrificio della propria vita, ostentano fierezza per la missione che avrebbero portato a compimento nell’Europa che ha dato loro i natali. Una missione che il video documenta mostrando le immagini girate dai nostri media, con gli interventi di agenti e soccorritori sulla scena del crimine, umiliazione francese rievocata con orgoglio. L’attentato è presentato come rappresaglia: si tratta di colpire chi ha osato opporsi ai disegni espansionistici del califfo. Gli occidentali bombardano i musulmani nella loro terra, e questi si vendicano facendo strage sul nostro territorio. Un compito che, viene auspicato, spetta anche agli immigrati residenti nel Vecchio Continente, esortati a colpire i vicini di casa con qualsiasi mezzo. “Uccideteli ovunque li incontriate”, si intitola il filmato, citazione coranica estrapolata come di consueto dal contesto affinché diventi un’esortazione indiscutibile e cogente. La guerra santa contro i “miscredenti”, sostiene un combattente, è dovere di ogni musulmano: è il perno della bellicosa ideologia jihadista, l’incitazione a combattere elevata ad obbligo individuale, che ricade su ogni credente. La manipolazione della religione da parte dei movimenti jihadisti trova qui il suo fulcro: la trasformazione del jihad da difensivo a offensivo e il suo assurgere a sesto pilastro dell’islam, dopo la dichiarazione di fede, la preghiera, il digiuno, l’elemosina, il pellegrinaggio. È un’interpretazione radicale della religione islamica forgiata nel 1979 nella polvere del lontano Afghanistan, la cui invasione da parte dei sovietici sarebbe stata respinta dai partigiani locali col sostegno di migliaia di foreign fighters sopraggiunti dall’intero mondo islamico. Fu il battesimo del fuoco di una generazione di guerrieri che rimase in attività anche dopo la fine delle ostilità, smaniosa di replicare l’exploit su nuovi teatri. Algeria, Bosnia, Cecenia negli anni ’90. Dopo l’invasone americana del 2003, sarebbe stato il turno dell’Iraq, brodo di coltura di un movimento inizialmente affiliato alla rete di Osama bin Laden che si sarebbe poi messo in proprio sotto il comando di Abu Bakr al Baghadi con il nome ISIS. Un itinerario lastricato di morti, soprattutto musulmani, come i siriani e gli iracheni ritrovatisi in mezzo all’avanzata travolgente del gruppo tra 2013 e 2014. Successi cui si oppone da un anno e mezzo una coalizione di 70 paesi, che rappresentano ora altrettanti bersagli della controffensiva asimmetrica del terrorismo jihadista. Ora che la Francia è stata colpita, il prossimo bersaglio è la Gran Bretagna, il cui premier è ritratto nel video mentre celebra il voto della Camera dei Comuni sull’estensione dei bombardamenti alla Siria. La Siria dove sorge la capitale del califfato, Raqqa, che i jihadisti difenderanno anche tentando di colpire le nostre città.
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