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Immigrati. La società va in quella direzione

Pubblicato il 27/10/2017 - Messaggero Veneto

È ideologico sostenere che la nostra società «anziana» debba attribuire un ruolo di primo piano agli immigrati e, perciò, «passare il testimone»? Scontando l’enfasi, le affermazioni contenute nel manuale scolastico Geo Green 2 possono apparire provocatorie, specie agli occhi di chi è preoccupato per il numero crescente di migliaia di richiedenti asilo che bussano alla nostra porta. Ma lungi dall’essere viziate da «buonismo», esse sono sostanzialmente esatte. Non si deve essere partigiani per trarre delle conclusioni dalle tendenze demografiche, che evidenziano l’inarrestabile invecchiamento della popolazione italiana causato, oltre che dall’aumento della speranza di vita, dal fenomeno consolidato delle culle vuote. I numeri parlano chiaro: con un tasso di fecondità totale (figli per donna) pari ad 1,34, l’Italia è ben al di sotto della soglia necessaria (2,1) per rimpiazzare le morti con le nascite. Lo è da tempo, e ciononostante la popolazione italiana è aumentata, superando quota sessanta milioni. Grazie, piaccia o no, all’immigrazione, che in un quarto di secolo ha comportato l’insediamento di cinque milioni di stranieri. Tra essi, molte donne, il cui tasso di fecondità è superiore a quello delle italiane (1,95 contro 1,27). Loro, in poche parole, continuano a mettere al mondo bambini, noi molto meno. Il contributo delle immigrate non sarà peraltro sufficiente ad arrestare il trend discendente della popolazione italiana: occorreranno nuovi flussi in entrata. È per questo motivo che l’Istat stima che, di qui a vent’anni, gli stranieri in Italia raddoppieranno. Se fosse un’opzione praticabile, chiudere le frontiere aggraverebbe il quadro esangue di una nazione che ha disperato bisogno di manodopera. Interi settori della nostra economia, specie servizi e manifattura, senza la presenza straniera chiuderebbero bottega. Gli immigrati permettono a numerose attività di mantenere i livelli produttivi, tutelando così anche i posti di lavoro degli italiani. Questa non è ideologia, ma mera contabilità dei fattori che consentono ad un’economia di produrre ricchezza. Non è tutto. Sono numerosi gli ambiti professionali, inclusi quelli dell’informazione, della scienza e della conoscenza, in cui vi è carenza di forza lavoro. Ecco perché è indispensabile che gli immigrati più giovani, le famose seconde generazioni, accedano all’istruzione superiore. Abbiamo bisogno di più medici, ingegneri, informatici, ricercatori. Noi non ne sforniamo abbastanza. Questo significa, per usare l’espressione del testo scolastico incriminato, «passare il testimone». Che non va interpretato alla lettera, ci mancherebbe. Gli autori intendevano enfatizzare come la società italiana del terzo millennio dovrà aprirsi alla partecipazione dei nuovi cittadini in «ogni livello professionale e civile». Questo non implica che la cultura italiana, ossia ciò che attribuisce al nostro popolo il suo carattere distintivo, debba svanire. Non si deve sottovalutare il fenomeno che gli studiosi dei processi migratori chiamano “assimilazione culturale”, che indica come i nuovi arrivati facciano progressivamente propri lingua, valori e mentalità della popolazione ospitante. Il nostro bagaglio culturale si trasmetterà a nuovi gruppi etnici, destinati ad essere parte integrante del corpo della società italiana che verrà. Tra trent’anni, nessuno farà più caso se una persona di colore, o con gli occhi a mandorla, avrà il friulano o il romanesco come lingua madre. In questo senso, stiamo senz’altro per passare il testimone ad una società diversa. Che sarà però sempre italiana.

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