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La Cina e i 100 anni di comunismo: rischia l’involuzione autoritaria

Pubblicato il 02/07/2021 - Il Piccolo, Messaggero Veneto

A Pechino ogni minimo dettaglio è stato studiato per consentire ai cinesi di festeggiare degnamente il centesimo anniversario della fondazione del Partito comunista cinese. È una ricorrenza cui i cittadini sono invitati a guardare con orgoglio: la storia del Partito comunista corrisponde alla storia della Cina moderna ed è la storia dello straordinario successo di un modello autoritario alternativo a quello occidentale. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando nel 1949 la guerra civile cinese si concluse col trionfo del PCC di Mao e l’esilio a Taiwan dei nazionalisti di Chiang Kai-shek. Cominciò allora un percorso che non fu privo di difficoltà a causa dell’estrema povertà della popolazione e del dogmatismo di Mao, sotto la cui gestione si contarono drammatiche carestie e violente purghe, tutte assenti dalla storia ufficiale edulcorata del Partito. La svolta avvenne sotto Deng, le cui riforme diedero vita a un modello ibrido che coniugava dirigismo socialista e capitalismo e che fu responsabile della graduale trasformazione della Cina in una potenza economica. Consumato il sorpasso col Giappone, Pechino è oggi a un passo dal doppiare anche gli Usa nella graduatoria delle maggiori economie mondiali. Nel frattempo tuttavia è intervenuta una cesura nella storia del Dragone che, se negli anni del primo sviluppo economico tendeva a mantenere una posizione defilata, oggi sotto la leadership di Xi Jinping ha abbandonato ogni prudenza per assumere un atteggiamento assertivo sulla scena del mondo. Questo cambio di passo coincide con la nuova vocazione dell’economia cinese, che da fabbrica del mondo per conto terzi e sede degli impianti produttivi delle maggiori multinazionali è oggi diventata un colosso che si regge sulle proprie gambe e proietta sui mercati mondiali i propri prodotti hi-tech. Tutto questo ha innescato negli Usa la paura del sorpasso e generato un atteggiamento reattivo che punta a limitare le ambizioni della Cina. Lo scontro tra prima e seconda potenza mondiale non è solo questione di competizione economica: in gioco c’è anche l’antagonismo tra due modelli ideologici rivali che aspirano in ugual misura a egemonizzare il mondo. Naturalmente questo serrato confronto genera in Cina una notevole tensione interna e ha già prodotto un’involuzione autoritaria ben rappresentata dal mandato perpetuo conferito a Xi dal congresso del partito del 2018. Si è stretta inoltre ulteriormente la morsa sul dissenso, oggi controllato, oltre che con atti autoritari, con un sofisticato e capillare sistema di sorveglianza elettronica. La deriva comprende anche una postura più aggressiva in politica estera di cui a fare le spese è in primo luogo Taiwan. C’è dunque il rischio concreto che, per un eccesso di sicurezza in se stessa o per le paranoie che la attanagliano, la Cina possa compiere atti estremi come quelli subiti da Hong Kong, dove anche l’ultima parvenza di libertà democratiche è stata soppressa. Il Paese che celebra i cento anni del suo partito unico vive dunque un momento di travaglio i cui sbocchi non sono affatto prevedibili.

CinaIl PiccoloMessaggero VenetoXi Jinping
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