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L’attentato a Charlie Hebdo

Pubblicato il 20/01/2015 - Messaggero Veneto

Gli attentati di Parigi sollecitano una riflessione sui nostri rapporti con l’islam. La doverosa distinzione tra moderati e fanatici non è in questo caso pertinente. L’accusa rivolta ai vignettisti di Charlie Hebdo, la blasfemia, è punita severamente, anche con la pena capitale, nei paesi islamici dove il diritto e il Corano si confondono.
La condanna a morte di un altro “blasfemo” come lo scrittore Salman Rushdie, enfaticamente proclamata da Khomeini nel 1989, non è mai stata ritirata, nemmeno dai leader iraniani da noi considerati campioni di moderazione. Inoltre, nelle manifestazioni che hanno agitato il Vecchio Continente al tempo della prima pubblicazione di vignette raffiguranti Maometto, nel 2006, masse di fedeli hanno vigorosamente precisato che chi sbeffeggia l’icona più sacra dell’islam merita la morte.
La sorte dei giornalisti di Charlie Hebdo era dunque prevedibile ed è stata prefigurata da quella del regista olandese Theo Van Gogh, trucidato nel centro di Amsterdam da un musulmano nato nel paese della tolleranza. La sua colpa? Nutrire idee poco politically correct sull’islam e aver girato un cortometraggio che denuncia la condizione femminile nel mondo musulmano.
Curiosamente, dopo i fatti di Parigi si è preferito intavolare un dibattito sui limiti della libertà di espressione. Vi ha contribuito anche Papa Francesco, secondo cui chi offende le convinzioni o i sentimenti altrui deve aspettarsi una reazione. Questa posizione gode di ampio consenso ma trascura un dato storico: la democrazia in Europa si è affermata anche grazie alle campagne per la libertà di espressione promosse da pensatori ritenuti i padri fondatori della nostra civiltà.
Chi deplora l’irriverenza di Charlie Hebdo si è dimenticato l’immortale lezione di Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo». Non c’è intesa insomma sui valori che ci contraddistinguono e che dovremmo trasmettere alle minoranze che convivono con noi.
Questa contraddizione giunge nel mentre la coabitazione di autoctoni e immigrati si è deteriorata per una serie di cause, non ultima la tendenza da parte di alcune comunità straniere a rifiutare programmaticamente l’integrazione.
Anche la demografia non aiuta: laddove le minoranze diventano maggioranza, come in non poche aree urbane d’Europa, si disincentiva la condivisione dei valori e si favorisce la formazione di enclaves. Ma questo non è il caso del Fvg, dove i musulmani rappresentano una delle tante componenti di una società plurale.
Siamo ancora in tempo dunque per edificare una società coesa, anche col contributo dei musulmani friulani che in queste ore drammatiche hanno ribadito la propria volontà di dialogo. L’iniziativa promossa sabato dai centri islamici del Fvg va in questa direzione. Sarà l’occasione per un franco scambio di vedute sulla società che vogliamo costruire in questo lembo d’Europa.

Friuli Venezia GiuliaimmigrazioneIslamjihadismoMessaggero VenetoUdine
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