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Le radici dell’islam in città

Pubblicato il 11/09/2015 - Messaggero Veneto

La nascita di una terza “moschea” a Udine rappresenta tutto fuorché una sorpresa. Chiunque abbia seguito lo sviluppo delle comunità islamiche in Europa sa anzi che la moltiplicazione delle sale di preghiera rappresenta solo una tappa di un percorso incrementale che non si arresterà qui. Può dunque essere utile illustrare tale evoluzione, per prefigurare quanto potrebbe accadere e predisporre azioni volte a far sì che il radicamento dell’islam in città non prescinda dall’interesse dell’intera collettività. La storia dell’islam udinese nasce negli anni ’90, quando i primi residenti di fede islamica hanno allestito uno spazio deputato a soddisfare le esigenze del culto. Questi pionieri hanno affittato un modesto appartamento in viale Leopardi, la cui missione sarebbe stata poi portata avanti in via Battistig. Il successivo aumento dei fedeli ha creato le condizioni per l’avvio del secondo passaggio, che si è articolato in due processi paralleli: la nascita di un centro più capiente e la moltiplicazione dei luoghi di culto. Così, mentre nel 2004 i musulmani hanno cominciato a ritrovarsi nel più ampio centro di via del Vascello, oggi trasferitosi in via Marano Lagunare, nel gennaio 2008 apriva i battenti l’associazione “Al Salam” di via San Rocco. L’odierna nascita di un terzo polo si inserisce in questo solco e riflette un fenomeno complesso che potremmo definire come la nascita di una comunità religiosa caratterizzata da evidenti tratti di eterogeneità interna. Una comunità che cioè, nel mentre si irrobustisce sotto il profilo dei numeri, è sempre stata e continuerà a essere differenziata. Entro il generico contenitore dei musulmani rientra infatti un’ampia casistica: uomini e donne variamente attaccati alla tradizione ovvero sedotti dalla modernità; le seconde generazioni, al cui interno la dialettica tra modernità e tradizione è più accentuata; ma soprattutto, un variegato insieme di orientamenti che riflette le molteplici origini nazionali degli immigrati. Esattamente come altrove, i musulmani udinesi non condividono insomma il modo di aderire all’islam. A quanto è dato sapere, la moschea di via della Rosta sarà espressione di un gruppo, quello dei cittadini del Bangladesh, che sono molto sensibili alle linee guida di un’organizzazione, il Tablighi Jamaat, molto presente in Europa. Il messaggio che questa iniziativa ci consegna è chiaro: la comunità islamica ha più anime e ciascuna rivendica i propri spazi. È bene sapere che il percorso che abbiamo tratteggiato non si conclude qui. Al di là dell’assicurare un tetto a chi vuole pregare, i centri nascono per garantire la conservazione e la trasmissione della fede, per cementare cioè un’identità specifica che abbia continuità nel tempo. Almeno nei centri più strutturati, le nuove generazioni partecipano ad attività formative – corsi di Corano e di lingua araba – che per ovvi motivi le istituzioni scolastiche non erogano. Il punto vero, dunque, non è la libertà di culto, peraltro assicurata dal nostro ordinamento. Il nodo è che a Udine l’islam si sta radicando e sviluppando lungo direzioni su cui sappiamo ben poco. Al di là del prenderne atto, forse Udine potrebbe fare un passo ulteriore: rendere nota ai concittadini di fede islamica la disponibilità a collaborare affinché il loro progetto comunitario prenda la direzione più appropriata, quella della trasparenza e della condivisione dei valori e dei principi su cui tutti possiamo ritrovarci.

Friuli Venezia GiuliaIslamMessaggero VenetoMusulmani in FvgUdine
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