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L’isolazionista Trump cambia rotta e diventa superpoliziotto

Pubblicato il 21/04/2017 - Il Friuli

Cos’è successo a Donald Trump? Nel mese di aprile, il nuovo presidente Usa ha preso una sequenza impressionante di decisioni niente affatto prevedibili per un uomo che, in campagna elettorale, aveva fatto proprio lo slogan “America first”. Nel giro di pochi giorni, le pulsioni isolazioniste del capo della Casa Bianca sono state archiviate in favore di un approccio interventista in una serie di teatri cruciali. La prima mossa è stata l’attacco alla base siriana di Shayrat, da cui era partito l’aereo che ha scaricato gas letali sui civili di Khan Shaykoun, provocando la morte di un centinaio di persone di cui molti bambini. Una scena straziante, che ha emozionato Trump al punto di spingerlo a ribaltare la posizione di distacco tenuta sino a quel momento sulla crisi siriana. L’era della famiglia Assad è finita, hanno sottolineato i suoi ministri e collaboratori, mentre gli Stati Uniti tessevano una tela diplomatica col fine di convincere l’alleato di ferro del presidente siriano, la Russia, a scaricarlo. I cinquantanove missili Tomahawk scagliati su Shayrat dalle navi americane che incrociano nel Mar Mediterraneo sanciscono la fine della provvisoria marginalità americana in Medio Oriente e rompono il tabù del predecessore di Trump, il nobel per la pace Barack Obama, restio a fare ricorso alle armi. I panni del comandante in capo sono piaciuti a Trump, al punto di spingerlo a sfidare il suo nemico storico nel quadrante asiatico: la Corea del Nord. Per far fronte alle provocazioni nucleari e missilistiche del dittatore di Pyongyang, Trump ha deciso di ricorrere ad un pressing militare e diplomatico senza precedenti. Ha fatto inviare verso la penisola coreana un gruppo navale d’assalto capitanato da una portaerei nucleare con a bordo sessanta aerei e cinquemila uomini. Un messaggio di risolutezza che va di pari passo con le pressioni nei confronti dell’unico vero alleato della Corea del Nord, la Cina, esortata a fare opera di persuasione nei confronti del problematico vicino. Per far assumere alla contesa toni ancor più drammatici, Trump ha dato luce verde all’uso in Afghanistan della “madre di tutte le bombe” MOAB, l’ordigno convenzionale più potente in dotazione alle forze armate Usa. Un messaggio eloquente rivolto simultaneamente a Siria e Corea del Nord: non scherzate col fuoco. Impegnato su più fronti, minaccioso, pronto a ricorrere al suo micidiale arsenale per piegare gli avversari: la svolta attivista di Trump segnala un nuovo corso degli Stati Uniti negli affari globali. È il prepotente ritorno in scena del superpoliziotto, che lascia il mondo nel dubbio se applaudire o preoccuparsi. Le prossime settimane ci diranno quale delle due reazioni sia più appropriata.

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