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L’ultimatum di Renzi sul Recovery Fund

Pubblicato il 10/12/2020 - Il Piccolo

Sui 209 miliardi di euro del piano next generation EU destinati all’Italia pesano due mine: in sede europea il veto di Polonia e Ungheria e in campo interno la contrarietà di Italia Viva al metodo di gestione dei fondi immaginato da Palazzo Chigi. Se a rintuzzare le resistenze di Varsavia e Budapest ci penseranno Ursula Von der Leyen e Angela Merkel che hanno ottime frecce al loro arco, diversa è la situazione sul fronte italiano. Sulla governance del Recovery fund, infatti, Matteo Renzi non intende recedere dal dissenso, basato sulla convinzione che la cabina di regia sia in mano a un gruppo ristretto di ministri da una parte e a una task force di supermanager dall’altra che tagliano fuori la componente di Italia Viva oltre che l’intera Pa. Ecco perché Renzi dichiara, riferendosi a Conte, che “o fa un passo indietro lui o, se questo strappo alla democrazia finisce in un emendamento alla legge di bilancio, Italia viva non voterà la legge di bilancio”. A fornire una sponda a Renzi è intervenuta Marta Wieczorek, uno dei portavoce dell’esecutivo comunitario, secondo cui “la Commissione europea non ha mai dato alcuna linea guida, né formale né informale, su come organizzare la struttura politica per preparare i piani nazionali o amministrare i fondi, le scelte sono nelle mani del governo italiano”. Ma a questa parziale sconfessione di chi nel gabinetto Conte sostiene la necessità di creare una struttura a parte per indirizzare la gestione delle ingenti risorse provenienti dal bilancio comunitario, è seguita una precisazione del portavoce capo della stessa Commissione Erik Mamer stando al quale il Recovery fund è “un programma davvero ambizioso da attuare (che) richiede che ogni amministrazione si equipaggi al meglio con i propri strumenti”. Bruxelles dunque sembra essere non sfavorevole alla cabina di regia voluta da Conte ma non certo per i motivi cari all’avvocato: nella capitale dell’Unione ricordano infatti che nel 2019 l’Italia è stata l’ultimo paese per capacità di assorbimento dei normali fondi strutturali e di coesione del bilancio Ue con una performance appena del 30%, in linea peraltro con una tendenza consolidata nel tempo. Questo è dunque il punto: non solo Roma, in qualità di primo beneficiario del Recovery, deve scrivere un piano impeccabile per non sciupare i fondi, ma poi deve essere in grado di portare avanti i progetti e di impiegare al meglio le risorse messe a disposizione dall’Ue. E, dato che non ci riesce, sembra dire Bruxelles, con i normali programmi Ue, come può pensare di farcela con quella somma monstre? Detto questo, resta da spiegare a che cosa si debba effettivamente la sortita di Renzi, C’è chi dice che il suo obiettivo sia di scuotere il sonnambulismo che impera a Palazzo Chigi da quando le componenti del governo non riescono più ad amalgamarsi (“il nostro centravanti di sfondamento, l’hanno definito dalle parti del Pd, anche se per diverse ragioni). Ma c’è anche chi ritiene che Renzi stia solo spingendo nell’acceleratore della polemica per un ritorno di visibilità personale e del suo gruppo in sofferenza nei sondaggi. Qualunque sia la ragione, il risultato aggiunge fibrillazione in un esecutivo che si regge su un equilibrio sempre più fragile.

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