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Migranti e Mediterraneo: brutto passo indietro

Pubblicato il 28/05/2017 - Messaggero Veneto

Sarà che i Summit dei 7 grandi assomigliano ormai a un galà cui si stringono importanti amicizie. E ieri a Taormina c’erano l’esordio di Donald Trump con consorte, Madame e Monsieur Macron e, per la prima volta da premier, Theresa May e Enrico Gentiloni Sta di fatto che questi meeting mastodontici, dove si predispone la politica mondiale di qui al vertice prossimo venturo, stanno diventando più una platea dove esporre le proprie divergenze personali che cornici in cui elaborare future azioni globali concertate. Il summit di Taormina non è stato da meno. Nonostante i buoni uffici del nostro premier, il grande tema che egli aveva voluto portare al centro del vertice sin dalla sua visita a Washington due settimane fa – le migrazioni nel Mediterraneo – ha fatto un buon passo indietro, retrocesso a poche righe di circostanza. Pare che, oltre agli europei contrari alla linea dell’accoglienza, dietro la decisione ci sia la volontà contraria di Stephen Miller, consigliere presidenziale Usa più attento all’immigrazione illegale che origina dal Messico che dai traffici clandestini che attraversano il Mediterraneo. Ancora più plumbee le discussioni sul commercio, dove si è delineato una sorta di G6: tutti contro Trump. Nonostante qualche passo indietro sulla sua agenda protezionista, quella che gli ha guadagnato la campagna elettorale, The Donald ha appena risfoderato dal suo cilindro la rivalità economica con la superpotenza tedesca, nei cui confronti si lamenta dell’esagerato surplus commerciale e di una politica monetaria poco accomodante e penalizzante per gli Usa (ma su questo, come si sa, decide SuperMario). Sta di fatto che non è solo la Germania ad essere preoccupata bensì tutti quei Grandi convinti, al contrario di Trump, che un rilancio degli scambi globali, in ottica multilaterale più che bilaterale, sia l’unica chance per far decollare nuovamente l’economia in faticosa riresa. In questo senso pare una sorta di miracolo che dai pourparler di Taormina che sia risbucato l’argomento del TTIP, Il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti che era uscito dai radar dall’elezione di Trump. Ma la vera incognita, e l’elemento più drammatico di questo evento, è la posizione degli Stati Uniti sui cambiamenti climatici. Trump sì è fatto eleggere con un’agenda energivora basata sull’uso massiccio del carbone e sul conseguente rilancio dell’industria nazionale. E ha fatto più volte intuire la propria insoddisfazione nei confronti dell’accordo sul clima di Parigi, firmato da Obama e dai principali leader mondiali in un vero e proprio clima di festa. Festa che la probabile giravolta del nuovo presidente, che se ufficialmente sta rielaborando la posizione della sua amministrazione sull’argomento ha già più volte fatto capire di volere accordi meno onerosi, non potrà che essere rovinata dal ritiro dai giochi della potenza più inquinante del pianeta. È ovvio che se Trump farà un passo indietro così clamoroso susciterebbe la facile indignazione dei governi e delle ONG che tanto hanno lavorato per l’accordo di Parigi. Donald Trump ha comunque già dato esempio di flessibilità, capace di fargli mutare idea in circostanze anche imprevedibili. Questo suo giro di valzer sarebbe il migliore.

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