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Natale, festa da condividere più che da rinnegare

Pubblicato il 18/12/2017 - Messaggero Veneto

Ogni anno, all’approssimarsi del Natale, si riapre puntuale la polemica sul presepe nelle scuole. A Pordenone, i dirigenti fanno comunque sapere che il presepe, nei loro istituti, ci sarà. Mentre fa notizia la proposta dell’imam Mohamed Hosny, capo dei musulmani del Friuli Occidentale, che suggerisce di rinunciare al simbolo per eccellenza della Natività, sostituendolo con il neutrale albero, non identificabile con alcuna tradizione. La discussione sull’opportunità o meno del presepe è un capitolo della più ampia controversia sui simboli religiosi nelle scuole. Basti pensare al crocifisso, difeso da molti ma che per altri dovrebbe essere tolto dalle aule. O al velo, simbolo islamico per antonomasia, che alcuni ritengono indesiderabile in quanto emblema di integralismo, di sottomissione femminile o, peggio, di prevaricazione: una presenza considerata incompatibile con un contesto, la scuola, in cui si insegnano agli studenti i valori costituzionali di libertà ed eguaglianza. La questione dei simboli religiosi divide gli italiani come ogni altro elemento del dibattito sull’identità e su ciò che marca l’appartenenza culturale. È una discussione che genera petizioni di principio e prese di posizione apodittiche. L’Italia è la culla della cristianità, si afferma, che non può rinunciare ai simboli che richiamano la sua storia e la sua cultura. Le nostre tradizioni sono irrinunciabili, si sostiene, pena lo smarrimento di un intero popolo, cui non rimarrebbe altro con cui definirsi se non i riti del consumo. Nella sua qualità di luogo in cui si formano le coscienze delle nuove generazioni, la scuola – si pensa – ha il dovere di richiamare e rinnovare le nostre tradizioni, in nome della conservazione e trasmissione di un prezioso e inalienabile retaggio. Sono argomenti che hanno la loro validità, e che sono in linea di massima condivisibili. Questa, d’altronde, è la linea che è prevalsa sino ad oggi nelle nostre scuole. Dove i sostenitori delle tradizioni hanno avuto la meglio sui pasdaran della laicità, coloro cioè per cui la scuola deve essere un luogo neutro, che si astiene dall’ostentare qualsivoglia simbolo per non indottrinare nessuno, tanto meno i giovani membri delle minoranze etniche e religiose. È il modello scelto dalla Francia, dove è in vigore una legge che espelle dall’ambito scolastico ogni simbolo religioso – crocifisso, velo e kippah – affinché gli studenti siano esposti esclusivamente alla dottrina dell’istruzione repubblicana, ereditata dalla Rivoluzione del 1789 e non scevra di sfumature anticlericali. In Italia, un modello del genere sarebbe impensabile. Noi abbiamo scelto una scuola inclusiva. Dove le tradizioni conservano la loro attualità. E dove si segue uno schema additivo, più che sottrattivo, dando spazio cioè ai simboli delle altre fedi che si affianchino a quelli del cristianesimo. Tutto, nel nostro Paese, è lasciato alla sensibilità di dirigenti, insegnanti, genitori e allievi – in una formula che alle direttive dall’alto predilige il consenso. Perché alla fine, come dimostra il caso del Natale, le feste è meglio condividerle, più che rinnegarle.

Dialogo interreligiosoFriuli Venezia GiuliaimmigrazioneMessaggero Veneto
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