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Neutralizzare i Belgistan dell’Europa

Pubblicato il 19/11/2015 - Messaggero Veneto

Man mano che procedono le attività investigative sull’attentato di Parigi, affiorano nitidamente le sue rilevanti implicazioni per la nostra sicurezza. Esse traspaiono dalle parole del presidente Hollande, impegnatosi a reagire a un attacco «pianificato in Siria, organizzato in Belgio e perpetrato nel nostro suolo con la complicità francese».

Questa frase enuclea lo schema che ha prodotto 130 morti nel cuore dell’Europa e che i servizi d’oltralpe non hanno saputo bloccare nonostante fosse da tempo paventato da tutte le agenzie di intelligence. A caratterizzare il blitz di Parigi è stata anzitutto la sua natura “diretta”. L’attentato sarebbe stato infatti concepito dal califfo in persona e messo a punto da un dipartimento appositamente creato per le operazioni esterne.

Siamo dunque di fronte ad un’evoluzione nella strategia terroristica dello Stato islamico, limitatosi finora a una sequenza di attacchi “ispirati”, messi a segno cioè da meri simpatizzanti privi di legami col Califfato anche se ben sintonizzati con la sua propaganda. Tale escalation emerge anche dall’identità dei soggetti coinvolti nel complotto parigino, a cominciare dalla presunta “mastermind”, il belga Abdelhamid Abaaoud.

Come cinque dei nove membri del commando entrato in azione nella capitale francese, Abaaoud era di casa nei campi di battaglia di Siria e Iraq, dove ha potuto familiarizzare con un ampio spettro di tecniche militari e paramilitari. Con l’attentato di venerdì si è concretizzato così lo spettro del “reducismo”, identificato dall’ultimo rapporto Europol sul terrorismo come la principale minaccia alla nostra sicurezza. Per far fronte al ritorno dei circa quattromila foreign fighters europei, i Paesi del Vecchio continente hanno approntato diverse metodologie volte soprattutto a monitorarne i movimenti. Misure che, evidentemente, non sono all’altezza della sfida.

La falla delle autorità francesi è resa ancor più grave dall’esistenza di un precedente, anche se non assimilabile perché rimanda alla categoria dei “lupi solitari”: ci riferiamo al caso di Mehdi Nemmouche, il jihadista francese approdato in Siria e riaffiorato il 24 maggio 2014 al museo ebraico di Bruxelles con una pistola, un kalashnikov e la bandiera nera dell’Is. Che agiscano in modo isolato o coordinato, questi nomadi della guerra santa rappresentano una minaccia per tutti, compresa l’Italia che ha fornito una novantina di reclute ai contingenti di al-Baghdadi.

La lezione dell’attentato di Parigi contiene però anche un altro monito: la necessità di fare i conti con le basi sicure di cui i jihadisti possono godere in Europa. Alcuni protagonisti e comprimari dell’attacco di Parigi avevano legami con un famigerato quartiere di Bruxelles, Molenbeek. Situato a pochi passi dai palazzi dell’Unione europea, questo ghetto musulmano ha fornito numerose leve e sostegno logistico all’estremismo di casa nostra: il suo nome è associato alla mente dell’attentato di Madrid del 2004 come all’uomo che lo scorso 21 agosto è stato bloccato sul treno Amsterdam-Parigi prima che potesse scaricare i suoi nove caricatori sui passeggeri.

Neutralizzare i tanti Belgistan d’Europa non è meno prioritario dello sgominare quel Califfato che ha saputo approfittarne per mettere Parigi in ginocchio.

BelgioIsisjihadismoMessaggero Venetoseconde generazioni
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