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Perché gli Usa non rinunceranno alla deterrenza nucleare. Il commento del generale Arpino

Pubblicato il 03/02/2018 - Formiche

Ieri il Pentagono ha diffuso la Nuclear Posture Review, la prima dopo sette anni di assenza. Il documento contiene le nozioni essenziali su come gli Stati Uniti possano esercitare la propria facoltà di deterrenza, che comprende non solo l’effettiva minaccia di ricorrere alla cosiddetta triade nucleare, ma anche i metodi politici e diplomatici da adottare per evitare che altre nazioni non dotate di armi atomiche cadano nella trappola della proliferazione e, infine, la capacità di far desistere l’avversario dal ricorrere al cosiddetto first-strike, che innescherebbe una devastante rappresaglia da parte degli Usa.

Nella sua prefazione al documento, il Segretario alla Difesa James Mattis ha sottolineato che l’America “affronta una situazione di sicurezza internazionale che è più complessa ed esigente di quelle affrontate dopo la guerra fredda”. Abbiamo chiesto al Generale dell’Aeronautica Mario Arpino, già capo di Stato Maggiore della Difesa, di commentare le parole di Mattis sulla Posture Review.

Generale, gli anni di Trump sono anni difficili dal punto di vista della sicurezza internazionale e della deterrenza nucleare in particolare, vero?

Sì, è cambiato tutto negli ultimi anni. Una volta c’era la competizione con l’Unione Sovietica. Adesso i proliferatori sono diventati sette. Il problema è comunque più generale ed è che non si può rinunciare unilateralmente ad una politica di deterrenza. Gli americani almeno non lo faranno mai.

Quali sono gli elementi che rendono più pericolosi gli elementi del sistema attuale nell’ottica della deterrenza nucleare?

Il maggiore è la proliferazione. Prima era limitata ad Israele, ma di Israele, se pur si sa che ha una capacità nucleare, non la si ritiene pericolosa. Non era ritenuta pericolosa nemmeno quella del Pakistan e dell’India perché si manifestava nel contesto di un braccio di ferro tra loro con scarse capacità di coinvolgimento di terzi. C’è poi il problema della Cina, che sta diventando sempre più un attore internazionale di peso. Prima la si considerava solo dal punto di vista economico, ora si vedono investimenti e una scalata anche in termini di armamenti con obiettivi prefissati precisamente. Io sto seguendo in particolare la loro politica spaziale e vedo che la Cina non sta perdendo un colpo, va avanti in modo determinato. E così in termini di potenza navale e sottomarina, con tutto ciò che ne consegue in termini di armi anche atomiche destinate a rimanere occultate e usate in funzione di deterrenza. E c’è infine la Corea del Nord, che è il problema più destabilizzante di tutti.

A proposito di Corea del Nord, la Review afferma che un deterrente nucleare credibile assicura che gli Stati Uniti non possano essere ricattati da Stati canaglia, e permette ai diplomatici americani di negoziare da una posizione di forza. Non le pare che queste affermazioni siano state messe in crisi dalla diplomazia nucleare di Kim Jong-un?

È vero. Bisogna considerare comunque che la difesa è sempre stata uno strumento di politica e un fattore di potenza. Lo è per gli americani, per i russi e per i cinesi. Non lo stesso possiamo dire nel caso dell’Occidente, dove il fattore di potenza viene escluso più o meno ipocritamente. In Italia per esempio è ridicolo parlare con le nostre forze armate di fattori di potenza. Strumento di politica sì, strumento di politica soft certamente, ma fattore di potenza mai. Per gli Stati Uniti, con America first non sarà mai così, non lo è stato nemmeno sotto Obama. Ma vedo delle forti difficoltà da parte dell’amministrazione Trump a gestire la minaccia della Corea del Nord.

Che rischi pone la cosiddetta miniaturizzazione degli arsenali?

Rischio notevoli. Una volta al tempo della guerra fredda c’era la dottrina della MAD che rendeva improbabile il ricorso alle armi nucleari. Adesso invece si va verso una capacità ridotta, selettiva e miniaturizzata della capacità nucleare e questo rende l’impiego delle armi più probabile. Si tenga conto poi che se lo fa uno lo faranno tutti.

Gli Stati Uniti continueranno gli sforzi tecnologici nello sviluppo del sistema di intercettazione dei missili balistici come quelli che potenzialmente potrebbe lanciare la Corea del Nord?

È sempre stato un importante campo di sviluppo, Ma è a doppio taglio. Perché se fallisce, perde di credibilità ed esce dal sistema di deterrenza. Adesso si cercano altri metodi, colpendo il vettore nello spazio-extraatmosferico, con buona pace dei trattati che vietano l’uso dello spazio per gli armamenti. Si torna insomma a Reagan e alle guerre stellari, e d’altro canto lo scopo di Reagan, sconfiggere l’Unione Sovietica, è stato raggiunto.

Corea del NordFormichepolitica internazionaleTrumpUsa
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