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Perché Macron fa l’equilibrista fra Iran e Stati Uniti. L’opinione di Panella

Pubblicato il 03/01/2018 - Formiche

Primo leader occidentale a stabilire un contatto con il presidente iraniano Hassan Rouhani dopo l’esplosione della rabbia popolare, il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso ieri per telefono al suo collega preoccupazione per il “numero delle vittime delle manifestazioni”, chiedendogli “moderazione”. Conscio della possibilità, niente affatto remota, di una repressione, il capo dell’Eliseo ha auspicato che siano “rispettati i diritti fondamentali, inclusi la libertà di espressione e la libertà di manifestare”. I due presidenti hanno quindi concordato, come era prevedibile, di rinviare la visita del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian a Teheran, dove era atteso questo venerdì, ad un momento più opportuno.

Dal canto suo, Rouhani ha puntato il dito sui Mujahedeen-e-Khalq (Mek-Organizzazione dei Mujaheddin del Popolo dell’Iran), forza di opposizione alla Repubblica islamica la cui principale base si trova a Parigi: Rouhani intravede il suo zampino dietro ai moti di questi giorni e ha chiesto a Macron di intervenire. “Critichiamo il fatto che un gruppo terroristico sia basato in Francia e agisca contro il popolo iraniano”, ha detto, aggiungendo di aspettarsi “azioni da parte del governo francese contro questo gruppo terroristico”.

La conversazione tra i due leader ha toccato quindi l’accordo sul nucleare (Jcpoa), di cui la Francia è un contraente. Rouhani ha chiesto a Macron di adoperarsi affinché vi sia il massimo “appoggio della comunità internazionale in difesa di questo accordo” e sia garantito il “rispetto degli impegni presi”. Nei prossimi giorni, Donald Trump è chiamato a confermare la validità dell’accordo ovvero, come appare probabile, a ripudiarlo e a chiedere al Congresso di varare nuove sanzioni nei confronti dell’Iran. Mossa che l’Europa teme più di ogni altra cosa, e su cui ha già espresso il proprio dissenso quando, lo scorso ottobre, il presidente Usa per la prima volta si rifiutò di ri-certificare il Jcpoa, invertendo la rotta rispetto alla politica dell’amministrazione di Barack Obama che quell’accordo volle fermamente insieme all’auspicio di un disgelo con la Repubblica Islamica.

Nella telefonata di ieri, Macron ha fatto comunque intendere di essere favorevole ad una preservazione del Jcpoa, a patto che sia garantita la sua “rigorosa applicazione sotto la supervisione internazionale”. Una dichiarazione problematica, che se allinea la Francia agli altri Paesi del P5+1 (Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania) e all’Unione Europea, che nel luglio 2015 a Vienna siglarono il Jcpoa e da allora ne sono diventati strenui difensori, la pone in diretta collisione con la Casa Bianca, con la quale Macron ha sempre desiderato mantenere ottimi rapporti.

Non sarà semplice dunque, per l’Eliseo, fare gioco di equilbrismo. Così come appare problematica la sua interlocuzione con i vertici della Repubblica islamica, alla luce dell’intenzione americana di attuare una politica di contrasto a tutto campo delle azioni iraniane in Medio Oriente nonché del desiderio Usa, più volte ripetuto in questi giorni turbolenti, di assistere ad un cambio di regime a Teheran.

Appare disperata, in questo senso, la richiesta di Rouhani a Macron di arginare il Mek. Non solo perché irricevibile, vista la tradizionale ospitalità francese nei confronti della comunità degli esuli. Ma anche perché, come conferma a Formiche.net il giornalista e osservatore di lungo corso delle dinamiche medio-orientali Carlo Panella, “il Mek non c’entra assolutamente nulla con le proteste di questi giorni, che sono spontanee e non hanno alcuna guida”. La richiesta di Rouhani appare “naturale e comprensibile”, sottolinea Panella, perché “la Francia ospita questi mujaheddin” e ciò “dà molto fastidio al regime, che non tollera alcuna opposizione, tanto meno se manovrata dall’estero”. Ma dire che ci sia il Mek dietro alle proteste di capodanno è “un non senso: i mujaheddin infatti danno fastidio al regime ma in una maniera molto limitata, perché hanno una piccola rete in Iran, fanno parte di quelle infiltrazioni che preoccupano il regime, ma si tratta di ben poca cosa”.

Più che alla richiesta improbabile di Rouhani, Panella invita a prestare attenzione alle mosse di Macron. Il quale “sta cercando di ritagliarsi un ruolo in un’area in cui né l’America né l’Europa contano più nulla a causa delle scelte scellerate di Obama”. Il presidente francese, “in maniera molto cinica, ha preso atto che la strategia di Obama si è rivelata fallimentare”, come dimostra il fatto che “il Medio Oriente ormai è sotto l’egemonia politica del blocco russo-iraniano”. Pertanto, “in maniera molto pragmatica e realpolitiker, Macron cerca ora di entrare in questo gioco e di svolgere un ruolo da mediatore, come ha fatto in Libano quando è scoppiata la crisi seguita alle dimissioni del premier Rafik Hariri”.

Sul rinvio della visita di Le Drian a Teheran, Panella non è affatto sorpreso: non è certo questo il momento per una photo opportunity di un politico occidentale in Iran. Resta valido comunque lo scopo ultimo della visita, la preparazione del viaggio in Iran del presidente Macron, primo capo di Stato transalpino a entrare nel Paese da quarant’anni a questa parte. “Macron non rinuncerà a questa opportunità”, dice Panella, sottolineandone gli aspetti economici ma anche “la necessità di ritagliarsi un ruolo politico“, approfittando della voluta assenza di Washington nella regione. Tutto cambierebbe, però, “se le proteste di queste giorni andranno avanti” o se “saranno represse nel sangue: in questo caso la sua visita in Iran sarebbe complessa”.

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