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Perché Trump non è ancora tramontato

Pubblicato il 02/11/2020 - Messaggero Veneto

Siamo ormai alla vigilia delle presidenziali USA e l’oracolo dei sondaggisti non è riuscito a individuare con certezza chi sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Il fatto è molto semplice e si spiega con le caratteristiche del sistema elettorale americano, che, essendo basato sugli esiti del voto nei singoli Stati nonché sul sistema dei grandi elettori, è capace di annullare il vantaggio nazionale ormai assodato di Biden nel gradimento popolare con il trionfo di Trump in una manciata di Stati chiave. Per evitare la débacle del 2016, quando l’intero universo dei media si trovò nella notte del voto a commentare quel che mai credeva fosse possibile, ossia una vittoria di Trump ai danni di Hillary Clinton, è preferibile richiamare i motivi per cui, malgrado tutto, la candidatura di Trump non può essere data per tramontata. La narrazione dei media ci ha fin qui raccontato di una inarrestabile avanzata dell’ex vice di Obama: un’onda blu, ossia democratica, che finirebbe per travolgere quel poco di America repubblicana rimasta fedele al suo Presidente. La sentenza letale per The Donald sarebbe arrivata in particolare con l’irrompere della stagione del Covid, che ha messo in mostra un leader impulsivo, capace di negare le verità della scienza o di piegarsi ad esse a seconda della convenienza del momento.  Qui va ricordato che i numeri spaventosi del Coronavirus negli Usa, per un certo periodo la nazione più contagiata al mondo, sono inscindibili – agli occhi di chi oggi ne pronostica una sconfitta – dalla condotta sin troppo erratica di Trump di fronte alla gestione della pandemia che l’ha visto spesso scivolare nei bassifondi del negazionismo. Basti ricordare le innumerevoli volte in cui il Presidente durante le seguitissime conferenze stampa della task force presidenziale, prendeva platealmente le distanze dalle opinioni del virologo Anthony Fauci, che di quella commissione era l’esponente scientifico più autorevole. Ma la politica non segue la razionalità dei politologi e così in questi ultimi giorni abbiamo assistito anche a una piccola rimonta di Trump, un fenomeno chiaramente spiegabile con la persistenza di tutti gli elementi che nel 2016 favorirono l’ascesa del tycoon. Esattamente come quattro anni fa, infatti, Donald Trump si rivolge all’elettore negletto, quello che ha perso il lavoro per la folle delocalizzazione e l’ossessione globalista degli obamiani, quello che finisce per apprezzare le sue istrioniche uscite perché lo fanno sentire vicino a lui, che apprezza i toni duri con la Cina come con l’Europa. Per debellare questa fascinazione i democratici avrebbero dovuto mettere in campo un candidato decisamente più carismatico del veterano della politica Usa dai toni miti e dalle parole rassicuranti. Certo, in questo momento mezzo mondo tifa proprio per quest’ultimo e proprio per questi motivi, perché, a differenza dell’impetuoso e imprevedibile Trump, Biden ha un pedigree presidenziale inappuntabile. Eppure proprio questo suo appeal lo rende inviso a quella parte di America che non vuole rinunciare al primato energetico globale o alle sue care miniere in cambio di un abbozzo di Green New Deal o di un’orgia di carezze ai leader globali che Donald Trump invece strapazzato per quattro anni. Considerata infine l’incognita del voto postale, che rischia di rimandare di parecchi giorni o addirittura settimana l’esito del voto, il nostro suggerimento è di preparare i pop-corn.

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