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Quegli otto decimali di Pil lanciati contro l’Europa

Pubblicato il 30/09/2018 - Il Piccolo

Dopo settimane sull’ottovolante, il “numerino” chiave della manovra economica – il rapporto deficit/Pil – atterra sul Paese come un proiettile impazzito. Con quegli otto decimali in più strappati ai cani da guardia dei conti pubblici, l’esecutivo gialloverde sa di sabotare anni di austerity e di moniti da parte dell’Unione Europea. Ma in fin dei conti è proprio quello che volevano, le forze di maggioranza, pur di dare avvio alle riforme economiche previste nel contratto di governo: reddito di cittadinanza, riforma della legge Fornero, flat tax. Quella che è stata salutata dal balcone di Palazzo Chigi dai festanti ministri pentastellati come la “manovra del popolo” appare comunque una trappola, innescata consapevolmente dai populisti al governo. Che nello sfidare i mercati e l’establishment finanziario, lesti nel punire l’azzardo con un’impennata dello spread e un tonfo di Piazza Affari, hanno voluto ripristinare il primato della politica su quello dell’eurocrazia, delle agenzie di rating e di altri attori che nell’oscurità manovrerebbero economia e finanza, determinando la buona o la cattiva sorte di interi Paesi e popoli. L’avversione pentastellata nei confronti della mano invisibile del mercato e delle sue opache quanto spietate leggi, abbinata alle pulsioni sovraniste della nuova Lega forgiata dal Capitano Salvini, ha generato una spinta, misurabile con quegli otto decimali di Pil, che porterà l’Italia in diretta collisione con l’Europa. Uno scontro che si consumerà molto presto, quando la Commissione sarà chiamata a valutare ed eventualmente respingere al mittente la nostra bozza di bilancio. Un bilancio che, con quelle palesi infrazioni alle regole comunitarie, rappresenta un ulteriore passo avanti nella sfida portata dalle forze gialloverdi all’euroconsenso incentrato sul motore franco-tedesco. Un motore che la marea populista intende soppiantare, esautorandone il potere di determinare le scelte sovrane degli Stati-nazione. Matteo Salvini non fa mistero di voler scardinare, alle prossime europee, gli equilibri di Bruxelles con la sua internazionale populista. Vuole una rivoluzione, che rimetta le capitali, un tempo marginalizzate dalle decisioni verticali dell’Ue, al centro della propulsione politica ed economica. Una rivoluzione nazionalista, che faccia fare un passo indietro all’utopia europeista e la soppianti con un nuovo impeto autarchico. Ciò che il titolare degli interni ha compiuto con l’immigrazione, lo realizza ora sul piano dell’economia con il suo collega Luigi Di Maio. Con uno schiaffo a Bruxelles e agli investitori nazionali ed internazionali irrazionale agli occhi dei più ma perfettamente coerente con il disegno populista. Che questa scommessa possa costare cara al nostro Paese e al suo esercito di risparmiatori è una variabile di poco peso sulla bilancia legastellata. Ciò che conta, dal punto di vista dei due vicepremier, è aver dimostrato che Roma può ignorare Bruxelles. E con l’Italia di nuovo sovrana, ogni scenario d’ora in poi è possibile. Compresi quelli che Tria, e con lui Mattarella, hanno temuto senza riuscire a sventare.

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