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Sulla Libia è necessario convincere Washington

Pubblicato il 25/04/2017 - Messaggero Veneto

La stabilizzazione della Libia è la priorità numero uno della politica estera dell’Italia. Con il numero di sbarchi di migranti salito a 35 mila dall’inizio dell’anno, per un aumento del 40% rispetto al 2016, la risoluzione della crisi che attanaglia il Paese mediterraneo rappresenta un’esigenza impellente per noi come per l’intera Europa. L’obiettivo di rafforzare il fragile governo di accordo nazionale di Tripoli, scaturito dal processo di pacificazione promosso dall’Italia nel 2015, è stato non a caso inserito nell’agenda del summit G7 che si celebrerà a Taormina a maggio. Nel comunicato congiunto dei ministri degli esteri dei sette grandi, riunitisi a Lucca il 10 aprile per definire i temi da affrontare in Sicilia, si ribadisce la volontà di operare insieme per “preservare la sovranità, integrità e unità della Libia”. Ma questa unanimità è incrinata dall’assenza di una chiara e univoca dichiarazione d’intenti da parte degli Stati Uniti. Del Paese cioè che, assieme agli alleati europei (inclusa l’Italia), ricorse alla forza per rovesciare Gheddafi, aprendo le porte ad una stagione di instabilità e conflittualità che dura a tutt’oggi. I segnali che giungono dalla Casa Bianca sono anzi fonte di preoccupazione per il nostro governo. Il premier Gentiloni è volato infatti la settimana sorsa a Washington anche per stanare l’amministrazione Trump. Ma se il nostro primo ministro sperava di incassare l’appoggio americano, è tornato a casa con le pive nel sacco. Ad una domanda diretta, rivoltagli da un giornalista durante la conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente Usa ha affermato candidamente di non vedere “un ruolo” del suo Paese nella risoluzione della crisi libica. Questa presa di distanza da un conflitto che la stessa America ha contribuito a mettere in moto è preoccupante. E non è tutto. L’orientamento dell’amministrazione Trump potrebbe essere addirittura antitetico rispetto alla posizione italiana. Come riferisce il quotidiano britannico The Guardian, uno dei candidati al ruolo di inviato speciale Usa per la Libia, il consigliere presidenziale Sebastian Gorka, propende per una partizione della Libia sulla base della divisione amministrativa risalente all’era ottomana: Cirenaica ad est, Tripolitania a nordovest, Fezzan nel sudovest. Se fosse questa la linea della Casa Bianca, tutto il lavoro fatto dall’Italia in questi anni sarebbe compromesso. Senza la sponda americana, il progetto di ricompattare la Libia intorno al governo tripolino di Fayez al Sarraj soccomberebbe di fronte alle spinte opposte che scaturiscono dall’interno come dall’esterno del Paese. Il nostro governo a questo punto si trova ad un bivio. O si adopera per formare una linea comune a livello europeo sulla Libia, operazione senza molte speranze. O raddoppia gli sforzi per persuadere l’America che una Liba unita e stabile è anche nel suo interesse. Una possibile soluzione c’è e si chiama lotta al terrorismo. Se riusciremo a convincere gli Stati Uniti che sostenere il governo Serraj è l’unica via per impedire alle milizie dello Stato islamico di rialzare la testa, bene. In caso contrario, l’Italia resterebbe come sempre da sola a pagare il conto dell’inerzia o del cinismo altrui.

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