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Un terzetto lo sostiene: adesso Assad è senza freni

Pubblicato il 10/04/2018 - Il Piccolo

Ancora civili. Ancora gas. Ancora un odioso attacco con armi di distruzione di massa contro la popolazione siriana. L’attacco di sabato notte a Douma, compiuto dal regime di Damasco, che ha fatto oltre 100 morti e centinaia di intossicati, rientra nella categoria dei crimini contro l’umanità che purtroppo rimarranno impuniti. Impuniti perché la comunità internazionale nulla è riuscita a fare per impedire al rais siriano Bashar al-Assad e ai suoi alleati russi e iraniani di fare quel che volevano nella guerra civile che ancora imperversa nel levante. C’era stato un tentativo, a febbraio, di varare attraverso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu una risoluzione che ordinasse il cessate il fuoco e consentisse il soccorso umanitario di questa umanità dolente. Ma il regime, con Mosca, si è fatta beffe del diritto internazionale e ha proseguito imperterrito il proprio assedio di Ghouta Est, il sobborgo di Damasco dove si trova Douma, che per anni ha resistito ai tentativi governativi di riconquista. Ma ora che i giochi sono fatti, che Mosca, Ankara e Teheran – i contraenti del patto di Astana – hanno delineato il futuro assetto e gli equilibri della Siria, non c’è più spazio per la diplomazia o per soluzioni negoziali. Solo la forza delle armi, di cui gli alleati di Assad dispongono in quantità, potrà mettere la parola fine a sette anni di sofferenze e devastazioni. Usando un’altra volta il gas contro la propria popolazione, Assad ha dimostrato di essere certo che il suo obiettivo è vicino: nessuno può più scalzarlo dal potere, e riconquistare ogni centimetro quadrato della Siria martoriata è alla sua portata. E pensare che appena due anni e mezzo fa la situazione era completamente ribaltata. Assad era un leader assediato da forze soverchianti, ossia da quei ribelli sunniti che avevano sottratto al suo controllo intere porzioni del territorio nazionale. A nordest, inoltre, imperversava lo Stato islamico, che Assad non osava attaccare perché gli tornava utile per dimostrare che la ribellione contro di lui era fomentata da forze islamiche radicali. L’intervento russo ha cambiato tutto. Con la forza della sua aviazione, Vladimir Putin è riuscito a sbaragliare i nemici del presidente siriano, costringendoli a rinchiudersi in piccole enclave scollegate tra loro. Tra queste, quella che ha resistito più a lungo è stata proprio Ghouta che, essendo alla periferia di Damasco, rappresentava una spina nel fianco del dittatore. Ecco perché, ora che a livello geopolitico Siria e Russia sono riusciti a vincere la loro battaglia contro i tanti paesi che lo hanno osteggiati, Assad può permettersi di sfoggiare livelli estremi di violenza. Se lo può permettere perché è spalleggiato da tre attori – Russia, Turchia e Iran – che in Siria hanno giocato una spietata partita per il potere contro l’asse sunnita capitanato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, che per anni hanno foraggiato le milizie in armi che hanno combattuto nella guerra civile. I paesi sunniti hanno brigato per la caduta di Assad, senza riuscire però nel loro intento, anzi riuscendo a rafforzarlo. Assad oggi è protetto da un’alleanza di ferro che copre ogni sua malefatta e sta pianificando il futuro del paese in barba alla volontà del suo stesso popolo, che per sette anni gli ha comunicato chiaramente la volontà di disfarsi del suo potere. La guerra civile in Siria, comunque, non si è ancora conclusa. Rimangono aperti numerosi interrogativi, non ultimo il destino delle zone settentrionali, al confine con la Turchia, controllate dalle milizie curde YPG. Il rais di Ankara Recep Tayyip Erdogan ha chiaramente affermato di non volere questa presenza alla frontiera con il suo paese, e ha inaugurato a gennaio delle operazioni militari in territorio siriano finalizzate a scacciare l’YPG da quei territori. La volontà di Erdogan si scontra però con la presenza, a pochi chilometri, delle truppe speciali americane. La loro permanenza, messa purtroppo in discussione da Donald Trump, è una precondizione necessaria perché si fermi lo spargimento di sangue voluto da Erdogan. Per il sangue dei civili di Douma ormai non c’è più niente da fare.

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