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Uno stallo che spreca i talenti

Pubblicato il 11/08/2017 - Il Piccolo

Altrove in Europa fanno i sindaci, i manager, gli imprenditori, i protagonisti dello spettacolo. In Italia sono invisibili, relegati sovente nei gradini più bassi della scala sociale. Sono le seconde generazioni (G2) di immigrati, figli dei cittadini stranieri residenti nel nostro Paese. Un milione di ragazzi e ragazze in bilico tra inclusione sociale ed emarginazione. Destinatari, finalmente, di un provvedimento di legge che dovrebbe – se approvato – offrire loro una scorciatoia per ottenere quel che fino ad oggi è stato un privilegio: la cittadinanza italiana. La riforma della normativa sulla cittadinanza è arenata in Parlamento: dopo l’approvazione alla Camera, manca la coesione politica necessaria per il sì del Senato. Se la legge dovesse saltare, la nostra classe dirigente darebbe prova di scarsa lungimiranza. Le G2 sono infatti parte integrante del nostro tessuto sociale. Buona parte di esse sono culturalmente italiane, condivide coi coetanei italiani stili di vita, aspirazioni, sogni. Eppure, a dispetto di questa consonanza, molti figli dell’immigrazione trovano la strada sbarrata quando si tratta di affermare i propri progetti. I dati statistici non mentono: una porzione preponderante delle G2 non accede all’istruzione universitaria e, per quanto concerne quella superiore, opta per percorsi professionalizzanti, che accorciano la strada verso un’occupazione ma sbarrano quella per le migliori posizioni del mercato del lavoro. Le ragioni sono molteplici. A parte il pragmatismo di molti di questi giovani, che ad una lunga stagione di studi che prelude non di rado ad un altrettanto lunga fase di disoccupazione preferiscono gratificazioni immediate, le G2 spesso mancano del capitale economico, sociale e culturale necessario per accedere agli strati superiori della nostra società. Troppo impegnati a procacciarsi un reddito, strappato svolgendo lavori umili e usuranti, i loro genitori non hanno il tempo di aiutarli negli studi, né hanno le nozioni necessarie per orientarli nelle scelte formative. Alcune G2 inoltre non padroneggiano bene l’italiano, inducendo i loro insegnanti a consigliare loro di optare per corsi di formazione brevi e professionalizzanti. Il risultato di tutto ciò è la creazione di manodopera comunque preziosa per un serbatoio di imprese che ancor oggi esprime, per note ragioni, una domanda di lavoro poco qualificato. Si genera così un singolare paradosso: i figli degli immigrati si trovano a svolgere gli stessi lavori poco prestigiosi dei genitori, quasi che la condizione socioeconomica di questi fosse ereditaria. Sappiamo come, nel nostro Paese, l’ascensore sociale risulti bloccato. Che i meritevoli non sono sostenuti con adeguate misure che aiutino a superare gli svantaggi di partenza. Lungi dall’essere egalitaria, la nostra è una società che premia chi ha già – grazie alla famiglia e agli ambienti in cui gravita – maggiori dotazioni sociali, culturali ed economiche. L’estrazione sociale conta, eccome, quando si tratta di attraversare la strada che dalla gioventù porta all’età delle responsabilità. La nostra è una società rigidamente stratificata, a camere stagne, dove i ceti benestanti prosperano e chi non vi appartiene solo raramente compie il salto in avanti. Si tratta di una situazione poco edificante, pagata spesso da chi ha alle spalle una cultura e una condizione diverse. La società multietnica che si va formando assomiglia così sempre più ad una piramide in cui chi ha privilegi, gli autoctoni, li perpetua, mentre chi ha qualità ma non risorse, ossia molti giovani di origine straniera (ma non solo quelli), arranca. Siamo di fronte ad un vero e proprio spreco di talenti, specie se si ritiene che le differenze culturali siano un valore aggiunto portatore di benefici economici. Rendere più facile l’ottenimento della cittadinanza italiana significa, quanto meno, abbattere una delle tante barriere che impedisce a questi ragazzi di contribuire al benessere della nostra società. È un provvedimento conveniente, oltre che giusto.

Governo italianoIl Piccoloseconde generazioni
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