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Vi racconto l’abbraccio russo-turco

Pubblicato il 22/04/2019 - Policy Maker

Il “Taccuino Estero” è l’appuntamento settimanale di Policy Maker con i grandi eventi e i protagonisti della politica internazionale, online ogni lunedì mattina 

PRIMO PIANO: L’ABBRACCIO RUSSO-TURCO E L’AFFAIRE S-400

Lunedì scorso il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha accolto al Cremlino il suo collega turco Recep Tayyip Erdogan per la cerimonia inaugurale dell’anno cross-culturale russo-turco.

È la terza visita quest’anno di Erdogan in Russia: un’assiduità che, oltre alla crescente cooperazione tra i due Paesi, evidenzia il rapporto personale instauratosi tra i rispettivi leader che, oltre ad essere in costante contatto, sono usi chiamarsi vicendevolmente, come hanno fatto anche in quest’occasione, “mio caro amico”.

In primo piano, nei colloqui moscoviti, la questione scottante degli S-400, il sistema russo di difesa anti-aerea che la Turchia ha deciso di acquistare nel dicembre 2017 generando l’allarme degli Stati Uniti e della Nato.

“Sulla questione degli S-400”, ha affermato Erdogan, “abbiamo determinato la nostra road map” che, dopo la sigla dell’accordo con Mosca, prevede ora la consegna del sistema. A nulla varranno le intimidazioni degli Usa: “Coloro che ci dicono di rinunciare ai nostri piani, che ci fanno raccomandazioni, non ci conoscono. Se abbiamo fatto un contratto, se abbiamo raggiunto un accordo, allora questo affare è concluso. Questo è il nostro diritto sovrano, questa è la nostra decisione”.

“Siamo qui”, aveva spiegato Erdogan ai giornalisti che lo hanno seguito a Mosca, “come una delle più forti potenze militari della Nato. Quando ci vengono rivolte simili critiche, come mai nessuno menziona il punto di vista della Turchia? Intendo dire, come mai uno degli eserciti più forti della Nato non può avere un forte sistema di difesa aerea?”

La risposta di Erdogan è semplice e si traduce in un’accusa di doppio standard rivolta agli Stati Uniti. Washington punta il dito sulla Turchia, e la minaccia di ritorsioni, perché acquista gli S-400? E come mai non dice nulla a quei suoi partner come Grecia, Bulgaria e Slovacchia che hanno in dotazione sistemi analoghi?

Secondo Erdogan, inoltre, la colpa dell’attuale crisi con Washington è da attribuirsi alla mancata cooperazione dell’America. Il presidente turco ha ricordato che il suo Paese in origine aveva espresso l’intenzione di acquisire il sistema di difesa anti-aerea made in Usa, i famosi Patriot, e aveva avviato una trattativa nel 2009 con l’amministrazione guidata allora dal neo-insediato Barack Obama. Ma il Congresso si mise di traverso e fece sfumare un affare valutato allora in 7,8 miliardi di dollari.

Mentre Erdogan era a Mosca, a intervenire sul caso S-400 è stato anche il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. Intervistato dall’emittente tv turca NTV, Cavusoglu ha detto che “se gli Stati Uniti vogliono venderci i Patriot, allora li compreremo. Ma se gli Stati Uniti non vogliono vendere, potremmo comprare altri S-400 o altri sistemi”.

Cavusoglu ha gettato altra benzina del fuoco di questa polemica tra alleati sollevando la questione degli F-35, che l’America adesso non vuole consegnare più alla Turchia per punirla per la scelta di acquistare gli S-400. “Se gli F-35 non funzionano”, ha dichiarato Cavusoglu, “dovrò procurarmi altrove i jet di cui ho bisogno. Ci sono gli SU-34 (russi), gli SU-57 e altri modelli”.

Cavusoglu è entrato nel merito anche della presunta incompatibilità tra S-400 ed F-35. “Gli F-35 Usa volano sulla Siria ogni giorno e lì ci sono sistemi S-400. Non pongono alcuna minaccia nonostante siano sistemi completamente sotto il controllo russo, dunque perché porrebbero un rischio quando saranno sotto il controllo turco?”.

La Turchia, insomma, tira diritto sugli S-400, facendo giubilare Putin. Che ora punta a rafforzare la cooperazione militare con l’alleato sul Bosforo. “Possiamo”, ha affermato raggiante il presidente russo al fianco del collega turco, “raggiungere accordi sullo sviluppo congiunto e la produzione di armi hi-tech”.

Quello della difesa non è l’unico settore in cui sta Russia e Turchia vanno sempre più d’amore e d’accordo. Anche nel campo dell’energia il rapporto è eccellente. Qui, per usare le parole di Putin, la cooperazione tra i due Paesi ha assunto “un carattere davvero strategico”. La Russia, ha spiegato il capo del Cremlino, “è il più grande fornitore di gas naturale alla Turchia, e l’anno scorso 24 miliardi di metri cubi sono stati esportati in Turchia. Questo copre quasi la metà delle necessità del Paese”.

Sempre in campo di energia, è stato anche ricordato che il segmento sottomarino del gasdotto TurkStream, che attraverserà il Mar Nero, è appena stato completato, e che l’impianto entrerà in funzione entro la fine dell’anno. La Russia, inoltre, costruirà a partire dal 2023 la prima centrale nucleare turca ad Akkuyu.

Dopo il colloquio bilaterale, Erdogan e Putin hanno presieduto i lavori dell’Alto Consiglio di Cooperazione turco-russo, un format inaugurato nel 2010.

Molti i numeri da celebrare: Erdogan ha ricordato che il numero di turisti russi che si sono recati in Turchia l’anno scorso ha raggiunto la cifra record di sei milioni. Incoraggianti anche le relazioni commerciali, con un volume di scambi che, in crescita nell’ultimo anno del 16%, ha raggiunto i 25 miliardi di dollari ma che, secondo le intenzioni dei due leader, potrebbe quadruplicare nei prossimi anni. Sono prossimi alla soglia dei 20 miliardi di dollari invece gli investimenti esteri.

“Credo che l’espansione del commercio”, ha affermato Putin, “sarebbe agevolata togliendo alcune restrizioni in quest’area, diversificando l’arco dei prodotti, lanciando nuovi progetti congiunti nell’industria, nella metallurgia, in agricoltura e nell’IT”.

“Oggi – ha anche annunciato Putin – il Fondo Russo per gli Investimenti Diretti firmerà un accordo con il fondo sovrano turco sulla creazione di una piattaforma congiunta di investimenti di 1 miliardo di dollari per investire in settori promettenti delle economie dei due Paesi”.

 


TWEET DELLA SETTIMANA

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NOTIZIE DAL MONDO

Elezioni presidenziali in Kazakistan. A meno di un mese dalle dimissioni a sorpresa del presidente Nursultan Nazarbayev, di cui diede conto anche Policy Maker,  il capo dello Stato ad interim Qasym-Zhomart Toqaev ha annunciato che le nuove elezioni presidenziali si terranno il prossimo 9 giugno e non, come precedentemente stabilito, nell’aprile del 2020. In un messaggio televisivo alla nazione, Toqaev ha spiegato che per “assicurare un accordo sociale e politico, e per andare avanti con fiducia (..) è necessario eliminare ogni incertezza”. Toqaev ha anche dichiarato che si farà garante di elezioni “libere e corrette”, ma non ha svelato se si candiderà. Radio Free Europe – Radio Liberty

Navi russe a Manila. Due cacciatorpedinieri e una petroliera di Mosca hanno attraccato lunedì al porto di Manila in quella che i russi hanno definito una “visita di buona volontà” in un braccio di mare rovente, segnato dalle tensioni tra la Repubblica Popolare e le nazioni vicine per il controllo del Mar Cinese Meridionale. È la seconda volta dall’inizio dell’anno che imbarcazioni russe entrano in un porto delle Filippine, che tra qualche mese firmeranno con la Russia un accordo di cooperazione navale che, oltre a rendere più frequenti visite del genere, prevede l’organizzazione di esercitazioni comuni. CNN

Nuove tensioni Usa-Cina sullo Xinjang. Ferkat Jawdat, un cittadino uiguro-americano che era stato ricevuto il 27 marzo dal Segretario di Stato Usa Mike Pompeo insieme ad altri quattro uiguri, ha rivelato che i suoi familiari nello Xinjang sono stati incarcerati in un’apparente ritorsione da parte delle autorità della Repubblica Popolare. “La Cina”, ha dichiarato Jawdat, “sta usando mia madre e i miei familiari come ostaggi per farmi tacere come hanno fatto con tanti altri attivisti”. Sulla vicenda è intervenuto anche Pompeo: parlando con Fox Business, il capo della diplomazia Usa ha definito “inaccettabile” il comportamento cinese. Buzzfeed

In Tunisia Essebsi non si ricandida. Il novantatreenne capo dello Stato ha annunciato che non parteciperà alle elezioni presidenziali previste il prossimo 17 novembre nonostante l’espressa richiesta da parte del suo partito, Nidaa Tounes. “Dirò francamente che non intendo cercare un secondo mandato perché la Tunisia ha un sacco di talenti”, ha dichiarato Essebsi. I tunisini andranno al voto anche il 6 ottobre per eleggere il nuovo Parlamento. Reuters

 


SEGNALAZIONI

“Cosa succederà quando la Cina diventerà il Paese più potente del m0ndo”: il saggio di David Batashvili su The National Interest.

“Cosa succederà adesso in Algeria”: l’articolo del giornalista algerino Akram Belkaïd su France24.

“Il nuovo look euro-atlantico della Macedonia”: l’analisi di Nikola Burazer sul sito dell’Ispi.

“Il presidente Omar al-Bashir è uscito di scena. Cosa succede adesso in Sudan?”: il post di Michelle Gavin sul sito del Council on Foreign Relations.

 

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