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Vi spiego come cambia l’approccio di Trump contro il terrorismo di matrice islamica

Pubblicato il 05/02/2017 - Formiche

Sull’indole di Donald Trump si è detto praticamente tutto, tutti si sono pronunciati, la condanna è unanime, dalla preoccupazione siamo passati ai toni apocalittici, spengleriani in alcuni casi.

Nelle due settimane dal suo insediamento, in effetti, non c’è stato giorno in cui il nuovo Presidente non abbia nutrito la nostra fame di notizie allarmanti sulle mosse avventate del tycoon e sui passi falsi del colosso americano – un classico, basta ricordare gli anni di Bush figlio. Proprio quella stampa che sforna a tutta birra peana e gemiti, offre, a chi li vuole vedere, segnali incoraggianti e in certi casi promettenti.

Si prenda la prima visita all’estero del nuovo segretario alla difesa, il generale James Mattis: a pochi giorni dal suo insediamento è accorso in Corea del Sud e in Giappone – alleati storici degli Usa – per offrire rassicurazioni sull’impegno americano contro la minaccia nucleare di quel matto di Kim Jong Un. Mattis tra poco sarà in Europa, dove avrà l’occasione di confermare i rapporti transatlantici con particolare riguardo alla centralità della Nato, entrambi oggetto di polemiche al vetriolo da parte di Trump. Ma la svolta più importante e più sottovalutata al momento è nella lotta al terrorismo. Qui il team alla tolda di comando degli Usa paiono determinati a gettare nel cestino della storia la Obama doctrine – l’America riluttante e disimpegnata che l’ex presidente ha comandato per otto anni, uno sfacelo. Con Trump, le cose cambiano e niente più del cambio di denominazione del programma di prevenzione del terrorismo lo mette in evidenza.

La nuova amministrazione ripudia la definizione obamiana di lotta all’”estremismo violento” e mette al suo posto l’etichetta di lotta all’”estremismo islamico”. Lungi dall’essere una mera questione di vocabolario, la nuova definizione cela un’analisi accurata del problema, su cui Obama ha preferito ripiegare sul politicamente corretto, terrorizzato all’idea che qualcuno lo potesse accusare di essere in guerra contro l’islam, la famosa religione di pace. Con singolare tempismo, mentre si danno 30 giorni ai generali per fornire al commander in chief un piano per sconfiggere il califfo, Trump osa dire quel che è chiaro da sempre: siamo in guerra contro un culto fanatico e violento che attinge la sua forza dalla religione islamica, dal Corano e dall’esempio marziale del primo jihadista della storia, Maometto.

Per questo è incomprensibile parlare di “estremismo violento”, nascondendo il cuore del problema. Da questo punto di vista, la nuova amministrazione merita secondo il sottoscritto un trattamento ben diverso. A meno che l’onestà intellettuale sia definitivamente scomparsa dall’orizzonte.

FormicheIsisjihadismoTrumpTrump Donald J.
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