Si concentrano sull’entrata in vigore dei dazi in Usa su acciaio e alluminio, sull’aumento della produzione di greggio decisa dall’Opec, sul rifiuto di Teheran alla proposta Usa di un accordo sull’uranio e sul piano dell’Unione Africana per le infrastrutture verdi nel continente, i principali temi della settimana del settore ambiente ed energia. I fatti della settimana di Marco Orioles
Entrano in vigore i dazi USA al 50% su acciaio e alluminio
Come riportato anche da PBS News, il 4 giugno sono entrati in vigore i dazi al 50% su acciaio e alluminio importati in America decisi dal presidente Trump con una mossa a sorpresa – era venerdì scorso, ricorda l’Associated Press, e il presidente stava parlando ai lavoratori dell’impianto di Irvin della U.S. Steel’s Mon Valley Works a Pittsburgh – che raddoppia le precedenti tariffe al 25% imposte già dall’amministrazione Biden e confermate dalla nuova Casa Bianca trumpiana. I dazi si applicano a tutti i paesi esportatori, eccetto il Regno Unito, esentato grazie a un accordo che, sottolinea Deutsche Welle, era stato raggiunto dai due Paesi lo scorso 8 maggio. L’UE è molto preoccupata anche perché, secondo i dati Eurofer, esporta 3,7 milioni di tonnellate di acciaio annue verso gli Usa, pari al 16% del totale delle sue esportazioni. Federacciai indica che l’Italia ha esportato nel 2024 in quel mercato 0,4 milioni di tonnellate di acciaio, per un valore di 1,2 miliardi di euro. Pur minacciando contromisure su 21 miliardi di euro di beni Usa, l’Ue continua a privilegiare il dialogo, e infatti mercoledì a Parigi, a margine della ministeriale OCSE sul commercio, il commissario Ue al commercio Maroš Šefčovič ha incontrato il suo omologo Usa Jamieson Greer. In quel contesto Šefčovič ha dichiarato che “i dazi al 50% non aiutano, ma le discussioni sono concrete e avanzano nella giusta direzione”, mentre dal canto suo Greer ha chiarito che “c’è la volontà di trovare un percorso per un commercio equilibrato”. Negoziati per esenzioni o compromessi sono in corso anche con i partner USMCA degli Usa, Canada e Messico, e poi con Giappone, Corea del Sud, Brasile e Fiji.
OPEC aumenta la produzione di greggio
Come riporta il Financial Times, lunedì l’OPEC+ ha deciso di incrementare la produzione di greggio di 500 mila barili al giorno a partire dal mese di luglio, con l’obiettivo di rispondere ad una domanda globale in crescita che viene misurata, secondo i dati IEA, in circa il +1,2%. L’altro obiettivo è quello di stabilizzare i prezzi attualmente attestati, prendendo come riferimento il Brent, intorno agli 80 dollari al barile. Si tratta, precisa ancora il FT, del terzo incremento consecutivo stabilito dall’organizzazione che riunisce i maggiori produttori globali. Come evidenziato anche da Bloomberg, dietro alla nuova decisione, che giunge dopo i precedenti tagli produttivi concordati per contrastare il calo dei prezzi post-crisi ucraina, si intravede la volontà dell’Arabia Saudita di mantenere la propria quota di mercato soprattutto nel continente asiatico. Il ministro dell’Energia del Regno, Abdulaziz bin Salman, ha dichiarato in particolare che “un aumento graduale è necessario per bilanciare domanda e offerta senza destabilizzare i mercati”. La mossa riflette anche obiettivi geopolitici: Riyadh cerca di rafforzare i legami con Cina e India, mentre contrasta al tempo stesso l’espansione dello shale oil Usa. Ma la decisione è risultata sgradita ad altri produttori come Nigeria e Angola, che temono di perdere competitività. I mercati globali hanno accolto con cautela la notizia dell’ennesimo incremento, temendo che si inneschi un problema di sovrapproduzione in un contesto di incertezze economiche e geopolitiche globali.
Il gran rifiuto di Teheran alla proposta Usa di un accordo sull’uranio
L’Iran ha respinto mercoledì la proposta avanzata dagli Usa per un nuovo accordo sul nucleare che le era stata presentata sabato scorso in Oman, che sta mediando i colloqui che vedono protagonisti il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi e l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff. Come scrive il New York Times, a rendere nota la contrarietà di Teheran è stato direttamente il leader supremo Ali Khamenei, che ha parlato di una proposta “insensata”. “Siamo al 100% contrari – ha dichiarato l’ayatollah, secondo quanto riporta Reuters, durante un discorso di commemorazione del suo predecessore nonché fondatore della Repubblica Islamica Khomeini – a rinunciare al nostro programma di arricchimento dell’uranio, essenziale per l’autosufficienza nazionale”. La proposta americana prevedeva che l’Iran cessasse completamente di arricchire l’uranio, anche ai soli bassi livelli per usi civili: stando a quanto scrive Al Jazeera riportando le parole di Witkoff, questa è per Trump una “linea rossa”. Ma Teheran si oppone strenuamente, continuando semmai a chiedere, oltre alla rimozione totale delle sanzioni economiche introdotte progressivamente dall’America, di continuare l’arricchimento domestico. Le trattative mediate dall’Oman proseguono comunque, ma il secco rifiuto di Khamenei rafforza la linea dura di Teheran e rende improbabile il raggiungimento, almeno nel breve termine, di un’intesa, malgrado la volontà in tal senso dell’amministrazione Trump.
Il piano dell’Unione Africana per le infrastrutture verdi nel continente
Come riporta il sito dell’Unione Africana (AU), la Commissione dell’AU, in collaborazione con l’African Union Development Agency – New Partnership for Africa’s Development (AUDA-NEPAD), l’African Development Bank (AfDB), la Commissione Economica Onu per l’Africa (UNECA) e con il sostegno dell’Ue e della Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit (GIZ), ha indetto tra il 9 e il 12 giugno una conferenza ad Addis Abeba con l’obiettivo di accelerare la mobilitazione della finanza climatica per la realizzazione di progetti infrastrutturali nella cornice del programma AU per lo sviluppo infrastrutturale del continente. Le discussioni verteranno su un piano da 20 miliardi di dollari per sviluppare infrastrutture verdi, con focus su energia rinnovabile e mobilità sostenibile. Sono previsti in particolare 10 GW di nuova capacità solare ed eolica entro il 2030 concentrati in Kenya, Nigeria e Sudafrica, oltre all’espansione di reti ferroviarie elettrificate al fine di ridurre le emissioni dei trasporti. L’AfDB collaborerà con l’Ue e la Cina anche per finanziare progetti di edilizia sostenibile, tra cui si segnala la volontà di realizzare edifici a impatto zero a Lagos. Il piano in discussione appare cruciale per attrarre investimenti e colmare il divario infrastrutturale africano, ma appare minato dalla spiccata dipendenza da finanziamenti esterni oltreché dalla fragilità politica di alcuni Paesi che potrebbero rallentare di molto l’attuazione di qualsiasi progetto.