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Ecco le condizioni della Lega per il sì dell’Italia alla Cina sulla Nuova Via della Seta. Parla Picchi (sottosegretario Esteri)

Pubblicato il 10/03/2019 - Start Magazine

“Io voglio capire bene, sulla Nuova Via della Seta, se le imprese italiane parteciperebbero alla realizzazione delle infrastrutture descritte. Se c’è la possibilità non solo di distribuire le nostre merci ma anche di partecipare alla realizzazione della Via della Seta, io dico ok. Se invece dobbiamo solo essere il terminale di distribuzione di merci altrui, non vedo la convenienza. Se il senso dell’operazione è questo, i cinesi se la possono realizzare da soli la BRI”. Parola di Guglielmo Picchi (Lega), sottosegretario agli Esteri

 

C’è un aspetto, del dibattito sull’adesione italiana alla Belt and Road Initiative, la “Nuova Via della Seta” cinese, che non è stato affrontato con la dovuta attenzione e che può essere riassunto in una semplice domanda: il governo gialloverde è compatto su questa scelta così densa di implicazioni che ha, tra l’altro, immediatamente allarmato l’amministrazione Trump?

A giudicare dalla posizione del sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, la risposta è no: ci sono delle eccezioni. Non proprio rubricabili, peraltro, come semplici sfumature. I dubbi di Picchi sul Memorandum of Understanding (Mou) che è in cantiere al Mise e regolamenterà la nostra partecipazione alla BRI sono anzi tanti e tali da spingere il sottosegretario del dicastero retto da Enzo Moavero Milanesi a uscire immediatamente allo scoperto. Lo ha fatto, Picchi, nel modo che si addice alla politica 2.0: su Twitter.

https://twitter.com/guglielmopicchi/status/1103343529630318593?s=21

Quando Picchi digitava queste parole, era il 6 marzo e il tema dell’adesione italiana alla BRI aveva ormai assunto risonanza internazionale. All’idea, che si è fatta presto strada sui maggiori organi di informazione mondiali, di un’Italia inglobata nella sfera di influenza cinese, il sottosegretario reagisce stizzito, spingendosi ad affermare che la nostra firma, su quel MoU, non dovrebbe esserci. Un messaggio, quello di Picchi, che il mittente si premura di recapitare all’indirizzo Twitter del “Capitano” Matteo Salvini e del primo ministro Giuseppe Conte.

Un’impuntatura, quella di Picchi, tornata in superficie – sempre su Twitter – nella giornata di ieri. A spingere il sottosegretario a ribadire il proprio dissenso è stato il cinguettio del National Security Council, l’organo della Casa Bianca che si occupa di minacce strategiche che già la settimana scorsa, quando la notizia del nostro MoU con la Cina era diventata di dominio pubblico, aveva reso nota la contrarietà del governo Usa. Contrarietà ribadita ieri con un messaggio inequivocabile, subito rilanciato da Picchi con una glossa che invoca un supplemento d’indagine sulla BRI da parte del nostro governo.

https://twitter.com/guglielmopicchi/status/1104415269672402944

Ecco la conversazione di Start Magazine con Picchi.

Allora, onorevole Picchi, pare proprio che l’iniziativa del suo collega Michele Geraci abbia suscitato un pandemonio.

Geraci mi sta molto simpatico, ma siccome sono membro di questo governo mi piacerebbe sapere quali sono i contenuti di questo MoU di cui tanto si parla.

Sono uscite delle anticipazioni, le abbiamo pubblicate pure noi.

È proprio questo il problema. Io non voglio le anticipazioni, io voglio il MoU. Non voglio leggere sul Financial Times le rivelazioni del sottosegretario Geraci, che pur è persona di altissima qualità che conosce il mondo della BRI e della Cina molto meglio di me. Io voglio vedere il MoU e voglio conoscere i dettagli attraverso le vie istituzionali intra-governo. È lo stesso principio dell’analisi costi-benefici di Toninelli: non la si manda in Europa prima di averne discusso internamente nel governo e aver fatto tutte le valutazioni del caso. Io sono un rappresentante del popolo e, come tale, se devo esprimere un’opinione devo sapere il contenuto, in modo che io possa poi dire ai miei elettori che è qualcosa nel loro interesse che può portare sviluppo e prosperità. Se invece non sappiamo che cosa andiamo a votare, si fa un errore metodologico.

La rivelazione del Financial Times ha innescato un dibattito globale, e sono molte le voci che denunciano una deriva dell’Italia, che si allontanerebbe dal sentiero tradizionale dell’Alleanza Atlantica. Lei condivide questa lettura?

Non conoscendo i dettagli del MoU, aspetterei prima di pronunciarmi su una deriva dell’Italia. Detto questo, è sicuramente scoppiato un dibattito globale, ne hanno parlato il New York Times, il Washington Post, Bloomberg. Se ci sono risvolti così importanti della posizione dell’Italia, se i giornali parlano di un impatto importante a livello geopolitico, a maggior ragione credo che un dibattito interno al governo italiano sia necessario. Abbiamo ancora due settimane di tempo prima che Xi Jinping venga in Italia e credo si debbano usare proficuamente per valutare questo MoU con gli altri membri della coalizione. Conoscere per deliberare: è il principio elementare della democrazia rappresentativa.

Però il MoU sembrerebbe pronto. E il premier Conte, se non entusiasta, parrebbe essere convinto dei vantaggi che la BRI recherà al nostro Paese. Intanto, uno dei massimi esperti di geopolitica in Italia, Lucio Caracciolo, vi definisce una banda di dilettanti allo sbaraglio che affronta con leggerezza un dossier così complicato.

Se Caracciolo si vuole occupare di cosa pubblica con la sua competenza, si candidi alle elezioni. Io posso dire quello che faccio io e non quello che fa Geraci o il presidente Conte. Se mi si chiede quello che penso, rispondo in modo molto laico: sconsiglio a un governo di procedere su un testo che la maggior parte di noi non ha visto, né vagliato. Invito dunque il governo alla cautela. Io sono un iscritto della Lega e un deputato della Lega. E il mio partito non ha tutti gli elementi per valutare questo dossier. Non mi pare di essere un scappato di casa se chiedo cautela nel maneggiare un dossier su cui ho delle mere rassicurazioni verbali da parte del presidente del Consiglio.

Ma lei, in definitiva, considera la BRI un’operazione conveniente per l’Italia?

La BRI è un progetto affascinante, di avanzamento infrastrutturale del mondo. Noi come Lega siamo sicuramente favorevoli alle infrastrutture, come dimostra il Tav. Non possiamo essere contrari ad avere canali logistici efficienti per il trasporto delle merci che possano abbattere i costi e migliorare la circolazione. Le strade sono state l’elemento di prosperità dell’impero romano. Quindi fare strade, avere porti efficienti, aeroporti, stazioni logistiche, fa sempre bene. Detto questo, c’è modo e modo di realizzare questi progetti. Io voglio capire bene, per esempio, se le imprese italiane parteciperanno alla realizzazione delle infrastrutture descritte. Se c’è la possibilità non solo di distribuire le nostre merci ma anche di partecipare alla realizzazione della Via della Seta, io dico che va bene. Se invece dobbiamo solo essere il terminale di distribuzione di merci altrui, non vedo la convenienza. Se il senso dell’operazione è questo, i cinesi se la possono realizzare da soli la BRI.

Gli americani sono indispettiti, oltre che per la BRI, anche per la questione Huawei. Ricordo che quando fu investito del problema, il ministro Di Maio disse che i contratti in essere, anche quelli con Huawei, si rispettano, con buona pace delle critiche sollevate dagli Usa.

Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è un hub di dati perché il cavo sottomarino che dall’Africa passa dalla Sicilia è l’hub di tutti i dati che dal Sud del mondo arrivano qui. Il 5G è dunque un’infrastruttura critica per la sicurezza nazionale. Credo perciò che la cautela sia d’obbligo. Di Maio cade in una contraddizione enorme quando dice che i patti presi vanno rispettati. Posso ribaltare subito la frittata dicendo che ci sono due trattati internazionali sul Tav che andrebbero rispettati. Non si possono rispettare i contratti internazionali à la carte. Il punto sulla questione 5G è che bisogna verificare a chi diamo i nostri dati. Bisogna prestare la massima attenzione a come vengono maneggiati i dati dei cittadini. Soluzioni gestite da più operatori possono essere il meccanismo che assicura il miglior controllo della situazione. Se lo faccio fare solo ad un operatore, che sia Huawei o Paperino, i rischi connessi sono ovviamente più alti.

Il governo italiano dovrebbe secondo lei obbedire alle ingiunzioni americane e mettere in campo un bando su Huawei?

Non lo farei naturalmente perché ce lo dicono gli americani. Userei il Golden Power se effettivamente se c’è un rischio alla sicurezza nazionale. In quel caso non c’è Huawei che tenga: i contratti non potrebbero andare avanti. Quel che non possiamo fare è mettere la testa sotto la sabbia: questi sono argomenti seri che non possono essere presi sotto gamba. Gli americani hanno sottolineato in modo abbastanza palese i rischi. Quel che noi possiamo fare è mettere al lavoro la nostra struttura di Cybersecurity perché appuri se questi rischi effettivamente sussistono. Se si scoprisse che questi rischi sono concreti, abbiamo gli strumenti normativi per intervenire.

Qual è dunque la posizione della Lega sul dossier Huawei?

Segnalo che il mio collega Capitanio ha fatto un’interrogazione parlamentare pochi giorni fa al Mise, chiedendo se abbiamo tutti gli strumenti per poter eventualmente revocare la gara di Huawei. La risposta è stata che gli strumenti esistono e che non corriamo rischi. Spero che sia così.

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