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Libia, che cosa (non) succederà alla Conferenza di Berlino

Pubblicato il 17/01/2020 - Start Magazine

Temi, protagonisti e scenari sulla Conferenza di Berlino sulla Libia analizzati da Michela Mercuri, autrice del saggio “Incognita Libia”, docente all’Università Niccolò Cusano e alla Sioi. Intervista di Marco Orioles.

Domenica 19 gennaio, a Berlino, si tenterà l’impossibile: ricomporre, nell’ambito di una Conferenza internazionale fortemente voluta dalla padrona di casa, la cancelliera Merkel, il caos di una guerra civile libica che è del tutto sfuggita al controllo dell’Europa stessa.

Per capire chi ci sarà domenica nella capitale tedesca, quali siano gli schieramenti che si misureranno e su quale agenda, e che ruolo spetterà ad un paese – l’Italia – che si annuncia come uno dei probabili perdenti, Start Magazine ha sentito Michela Mercuri, docente all’Università Niccolò Cusano e alla SIOI nonché componente dell’Osservatorio sul Fondamentalismo religioso e sul terrorismo di matrice jihadista.

L’autrice del saggio “Incognita Libia” spiega le premesse, gli obiettivi e soprattutto i retroscena di un’iniziativa diplomatica che si presenta, a tutti gli effetti, come l’ultima chiamata prima del disastro – ovvero, del deflagrare senza più alcun limite di una vera e propria mini-guerra mondiale e, in second’ordine, della definitiva proclamazione dell’irrilevanza dell’Unione Europea, e del nostro Paese in particolare, su quanto accade alle proprie porte.

Prof. Mercuri, partiamo proprio dalla conferenza e da chi l’ha voluta e organizzata.

La conferenza di Berlino è stata voluta in modo particolare dalla Missione Onu in Libia. Secondo protocollo, quindi, gli inviti sono stati fatti formalmente dal governo tedesco in accordo con l’UNSMIL. Si tratta di un’iniziativa che nasce sostanzialmente per riproporre la linea dell’Europa in Libia, che è una linea diplomatica, del dialogo tra le parti, e non militare. E’ dunque una linea che si scontra con quella di Russia e Turchia, i cui leader si sono incontrati qualche giorno fa per tracciare una road map per la Libia la quale però non è stata accettata dal generale Haftar. In ogni caso, molti dettagli della conferenza sono ancora secretati, tanto che – a parte qualche caso – non sappiamo ancora nemmeno i nomi di chi prenderà la parola a Berlino.

Chi dovrebbe esserci?

I nomi più importanti sono sicuramente quelli di Mike Pompeo e Robert O’Brien, rispettivamente Segretario di Stato e Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Usa. Ancora non si conoscono, invece, i nomi dei leader che rappresenteranno gli altri Paesi invitati: quelli, dunque, di Francia, Gran Bretagna, Cina, Russia, e soprattutto della Turchia, che come sappiamo è diventata da poco uno dei principali protagonisti delle vicende libiche grazie alla scelta del presidente Erdogan di aprire a un intervento militare nella nostra ex colonia. Tra gli invitati ci sarà poi ovviamente l’Egitto, che è un alleato di ferro di Haftar, e gli Emirati Arabi Uniti, che in questo momento hanno un ruolo nevralgico nel Paese in quanto sono quell’attore che, insieme al Cairo, ha bloccato Haftar nel firmare l’accordo proposto da Putin. Al tavolo infine ci saranno anche i rappresentanti della Lega Araba e dell’Unione Africana.

Haftar e Sarraj? Ci saranno ovviamente anche loro?

La presenza di Haftar sarebbe confermata: ieri c’è stato un incontro tra lui e il ministro degli Esteri tedesco, che ha voluto assicurarsi la partecipazione della parte in causa che è la più difficile da convincere e senza la quale questo vertice avrebbe poco senso. Haftar tuttavia è una personalità fortemente instabile, che ci ha abituato a colpi di scena alquanto clamorosi: ricordiamo che solo pochi giorni fa ha abbandonato l’incontro di Mosca, e anche alla conferenza di Palermo organizzata nel novembre del 2018 dal governo italiano si presentò solo in tarda serata per poi andarsene all’improvviso . Tutto questo per sottolineare come, al di là della conferma arrivata in queste ore, la partecipazione del Maresciallo è per definizione incerta, e molto in questo senso dipenderà da cosa Egitto ed Emirati sussurreranno nelle prossime ore nelle sue orecchie.

Sarraj invece?

Sulla partecipazione del premier del Governo di Accordo Nazionale ci sono invece meno dubbi. Sarraj potrà contare a Berlino sul sostegno di un parterre decisamente inferiore di alleati. Solo che tra questi c’è, come dicevamo prima, la Turchia, con cui Sarraj ha firmato un patto di ferro che gli garantisce non solo l’invio di soldati, ma anche numerosi vantaggi economici. È dunque quanto mai probabile che Sarraj e Erdogan si siano già accordati in vista della conferenza, il che fa capire quanto sarà importante il ruolo del presidente turco a Berlino.

Poche ore fa “Agenzia Nova” ha diffuso la bozza della dichiarazione finale della conferenza. Che ne pensa?

L’ho appena letta, e mi pare chiaramente sbilanciata in favore di Haftar. Ma questo ce lo dovevamo attendere perché la presenza del generale a Berlino rimane sempre in bilico e mi pare proprio che chi ha steso quel documento abbia voluto scongiurare tale scenario infausto. Detto ciò, è bene precisare che questa è solo una bozza che, di qui a domenica, subirà una tale sfilza di rimaneggiamenti che è del tutto inutile formulare adesso un giudizio.

Pare abbastanza evidente tuttavia chi a Berlino sarà il favorito.

Senza ombra di dubbio la bilancia pende dalla parte di Haftar, che può vantare dalla sua una lunga fila di alleati. Tra questi c’è la Russia, che tuttavia è rimasta alquanto scottata dal secco no del generale alla proposta di pace avanzata durante l’incontro di Mosca. È probabile che Putin abbia fatto i conti senza l’oste perché Haftar non agisce da solo, ma in coordinamento con Egitto ed Emirati, attori con cui evidentemente il presidente russo non si è ben raccordato. Inviterei infine a non sottovalutare il ruolo di altri attori presenti a Berlino, come la Lega Araba e l’Unione Africana,  che potrebbe essere fondamentale nel supportare l’una o l’altra parte.

Putin e Erdogan sono i veri kingmaker in Libia?

I due hanno avuto senz’altro un ruolo nevralgico nelle ultime settimane semplicemente perché hanno messo in Liba i famosi boots on the ground  – gli scarponi sul terreno, ndr – a sostegno dei due contendenti. La Turchia schiera, sebbene in maniera ufficiosa, numerose milizie e invia molte armi a Sarraj, mentre la Russia ha messo in campo i contractors della Wagner a sostegno dell’avanzata di Haftar verso Tripoli. Tutto questo però non autorizza a concluderne che siano proprio Putin ed Erdogan i kingmakers della crisi libica. Questo, almeno, era ciò che poteva apparire sino a pochi giorni fa. Poi c’è stato il voltafaccia di Haftar nei confronti della proposta avanzata dalla Russia, che si ritrova perciò adesso in una posizione di relativo svantaggio. Non possiamo tuttavia escludere qualche mossa a sorpresa di Putin, che rimodulando i termini dell’accordo potrebbe convincere Haftar a firmarlo. Aggiungo che la mediazione di Putin potrebbe risultare fondamentale qualora riuscisse a raccordarsi con Egitto ed Emirati e concordare con loro una linea comune.

A tal proposito, quali mosse ci si deve attendere da Egitto ed Emirati?

Remeranno in tutti i modi a favore di Haftar, legittimandolo sempre di più e alzando la posta in suo favore. Cercheranno, in particolare, di evitare che il generale sia costretto ad abbandonare le posizioni conquistate ad Ovest durante l’avanzata lanciata la scorsa primavera e a tornare così al punto di partenza. Questo per Haftar sarebbe fatale perché gli farebbe perdere credibilità non solo nelle aree che ha conquistato, ma soprattutto nella sua Cirenaica, dove è molto amato. Penso dunque che a Berlino gli alleati di Haftar tenteranno di proporre, più che un ritiro delle truppe del generale, un rafforzamento del suo Esercito, che potrebbe svolgere – o così almeno si vuol far credere – un ruolo importante nella fase post-bellica facendosi carico ad esempio del disarmo delle milizie.

E dalla Francia?

Parigi è stata un elemento importante di rottura all’interno dell’Ue, e le ha impedito di procedere su una linea diplomatica comune. Vorrei ricordare che pochi giorni fa la Francia ha firmato insieme all’Egitto e ad altri Paesi un documento totalmente sbilanciato a favore Haftar che il nostro ministro Di Maio si è rifiutato di firmare. È dunque lecito attendersi che la Francia a Berlino andrà ad allungare l’elenco dei supporter di Haftar.

Si è fatta un’idea sulla posizione che assumeranno gli Usa?

L’America da un lato non vuole rientrare nella partita libica da cui si è svincolata da tempo e anche a fatica. Dall’altro lato però è pronta a fare la propria parte a Berlino, come dimostra la decisione di Trump di inviare Pompeo e O’Brien. Una scelta che fa intuire come l’obiettivo di Washington in questa partita sia in primo luogo di limitare il potere della Russia, e in secondo luogo di contrastare lo schieramento della Turchia al fianco di Sarraj. Quest’ultima in particolare, è una mossa che non è piaciuta affatto a Washington, dove sanno bene come Erdogan sia un baluardo dei Fratelli Musulmani, ossia dei nemici ideologici dei principali partner islamici degli Usa come l’Arabia Saudita. Anche questo fattore potrebbe spingere gli americani ad assumere una posizione forte durante la conferenza.

Quali sono i nostri margini di manovra dell’Italia a Berlino?

La linea italiana, se devo essere sincera, non mi è del tutto comprensibile. Abbiamo assistito in questi ultimi giorni ad una girandola di incontri diplomatici svolti dal ministro Di Maio e dal premier Conte in vari paesi nevralgici per la crisi libica come Egitto, Turchia e Tunisia. Resta un mistero se questi sforzi diplomatici siano stati isolati o abbiano avuto invece alle spalle un progetto politico concordato con l’Ue: in altre parole, non è affatto chiaro se i nostri rappresentanti abbiano agito come portavoce di un’Europa unita, o abbiano parlato per conto proprio. Dubito in ogni caso che a Berlino ci sia spazio per un nostro ruolo in quanto in Libia, ormai, gli attori forti sono altri. Credo quindi che l’Italia sarà fuori dalla partita e insieme a lei anche la linea diplomatica che abbiamo tessuto, qualunque essa sia.

E la grande partita dell’energia che si muove sullo sfondo? Ci sarà anche questo sul piatto a Berlino?

Non credo che la conferenza, che parte già tra mille difficoltà, possa affrontare anche questi aspetti. Va detto, tuttavia, che l’accordo di fine novembre tra Erdogan e Sarraj sulla delimitazione delle zone economiche di interesse esclusivo nel Mediterraneo garantirebbe alla Turchia diritti esclusivi di esplorazione ed estrazione nel bacino levantino, ossia in un’area che è fondamentale sia per Eni che per Total. Oltre a sancire un rafforzamento dell’egemonia di Ankara nel mondo islamico, il patto tra Erdogan e Sarraj offre dunque alla Turchia la possibilità di proiettare la propria influenza in una regione decisiva anche dal punto di vista dell’energia come quella del Mediterraneo orientale.

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