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Lo Stato dell’Unione secondo Trump vivisezionato dall’Ispi di Magri

Pubblicato il 06/02/2020 - Start Magazine

Mentre il caso impeachment è chiuso per Donald Trump dopo il voto del Senato, il discorso del presidente Usa sullo Stato dell’Unione è stato vivisezionato dall’Ispi diretto da Paolo Magri. Ecco che cosa emerge dal Focus

Qual è lo Stato dell’Unione? Di Stati dell’Unione ce ne sono almeno tre.

C’è, anzitutto, quello percepito – e rivendicato – dallo stesso Donald Trump, che ha vantato “gli incredibili risultati” della sua amministrazione. C’è, poi, quello denunciato dai suoi rivali Dem, che con Nancy Pelosi accusano il capo della Casa Bianca di indulgere in “bugie insopportabili”. E c’è, infine, quello dell’Ispi che si è preso la briga di capire, e spiegare, chi tra il tycoon e i suoi oppositori, abbia effettivamente detto la verità sullo Stato dell’Unione.

Nel focus “Lo Stato dell’Unione, secondo Trump” pubblicato ieri sul sito dell’Ispi, la ricercatrice Alessia De Luca viviseziona il discorso di Trump mettendo a confronto le affermazioni e rivendicazioni del presidente con i dati disponibili.

Ne emerge un quadro che accontenta tanto i tifosi sfegatati del tycoon quanto chi – e non son pochi – lo considera un bugiardo matricolato. Nel discorso di martedì, infatti, le menzogne vere e proprie convivono con nude e crude constatazioni di una realtà che non è affatto nefasta come la vorrebbe dipingere chi pensa che l’America, a causa dell’imprenditore newyorchese, sia finita sull’orlo del baratro.

Si prenda l’economia, che a detta di Trump “cresce come mai prima d’ora”. In realtà, si rileva nel focus dell’Ispi diretto da Paolo Magri, l’economia a stelle strisce è si in terreno più che positivo, ma – come dimostra il +2,3% con cui si è chiuso il 2019 che è, sottolinea l’analista, “la performance più debole dal 2016” – “ha rallentato il passo rispetto al passato”.

L’ottimismo trumpiano viene inoltre smentito, ricorda De Luca, dal Fmi, che ha previsto un ulteriore rallentamento nell’anno in corso. Per non parlare di quelle che la ricercatrice definisce le “nubi che si addensano sopra l’economia Usa”, dove “cresce il numero di investitori che si domanda se siamo prossimi a un ciclo di recessione”.

Laddove insomma Trump vede verdi e ridenti praterie, De Luca – che in questo è in ottima compagnia – riconosce un quadro composto da luci ed ombre dove, come sempre, è il punto di vista dell’osservatore a stabilire se prevalgano le une o le altre.

Dal punto di vista del presidente, così, il mercato del lavoro in America non è mai stato così dinamico come oggi. “In soli tre anni della mia amministrazione 3,5 milioni di persone in età lavorativa hanno avuto accesso al mercato”, ha rimarcato in aula Trump, sottolineando anche che “il tasso di disoccupazione femminile ha raggiunto il livello più basso in quasi 70 anni“ e ricordando, infine, come gli otto anni di governo del suo predecessore Obama si siano chiusi con “300.000 persone in età lavorativa (…) uscite dal mercato del lavoro”.

Anche qui, però, la ricercatrice dell’Ispi non può fare a meno di rimarcare il divario tra cifre e realtà. La quale ci dice che durante il doppio mandato di Obama “la forza lavoro è aumentata di 5,06 milioni di persone” (sebbene tale performance sia stata sostanzialmente dovuta, ricorda l’analista, alla poderosa ripresa seguita alla Grande recessione e a tassi record di crescita demografica).

Quanto al boom del lavoro delle donne, Trump non dice il falso: omette semplicemente di ricordare – come scrive la ricercatrice – che il tasso di disoccupazione “era in calo costante da diversi anni prima che lui entrasse in carica”.

Quello che ha parlato martedì davanti a deputati e senatori è insomma un presidente che usa dati e cifre con disinvoltura o, ancora meglio, con l’abilità del prestigiatore che sa far apparire e scomparire le cose a suo piacimento.

Ecco, così, che il nuovo accordo commerciale negoziato dall’amministrazione con Canada e Messico per mettere in soffitta il Nafta creerà secondo il suo fautore “quasi 100.000 posti di lavoro nel settore automobilistico”. Affermazione che De Luca si vede costretta se non altro a contestualizzare, ricordando che una “commissione federale indipendente stima i posti lavoro guadagnati a 28.000 nei primi sei anni” e che “altri 76.000 impieghi” dovrebbero aggiungersi, “secondo calcoli delle commissioni governative”, negli anni successivi.

Se non è quasi mai facile distinguere, nelle parole di The Donald, il vero dal falso, ci sono delle volte in cui il problema non si pone affatto. Nel caso del discorso di martedì, questo è accaduto quando per l’uomo più potente del mondo si è trattato di sottolineare che grazie “alla nostra audace campagna di riduzione normativa, gli Stati Uniti sono diventati di gran lunga il produttore numero uno di petrolio e gas naturale in tutto il mondo”.

Che l’affermazione rifletta la realtà è fuori discussione. Ciò che Trump omette di dire, e che De Luca si premura di riportare a galla, è che gli Usa sono diventati “il primo produttore al mondo (…) tra il 2009 e il 2013”, dunque “durante l’amministrazione Obama e non grazie alle politiche messe in atto da Trump”.

Se la predilezione di Trump per le iperboli e le esagerazioni è fuori discussione, ci sono degli issues su cui il presidente è capace di superare addirittura sé stesso.

È senz’altro il caso del famoso muro al confine con il Messico, di cui secondo il presidente sarebbero “state completate più di 100 miglia” (in realtà, ricorda De Luca, “ (s)olo un miglio è stato aggiunto dove non esistevano barriere in precedenza”). O degli attraversamenti illegali al confine sudoccidentale, che per Trump “sono diminuiti del 75% da maggio” (quando invece, sottolinea l’analista, “(g)li arresti per immigrazione clandestina nel 2019 sono aumentati dell’81% rispetto al 2016”).

Ma la vera perla trumpiana in questo quarto discorso sullo Stato dell’Unione del presidente americano più bizzarro degli ultimi tempi è arrivata con la rivendicazione di aver fatto aumentare non solo “i contributi degli alleati Nato di 400 miliardi”, ma anche “il numero di quelli che soddisfano i loro obblighi minimi”, che sarebbe “più che raddoppiato”.

E qui, De Luca ha buon gioco a evidenziare che se quel dato ciclopico – 400 miliardi di dollari – non è campato per aria perché si riferisce “alle spese militari previste per i membri dell’Organizzazione del trattato Nord Atlantico, che dovrebbe essere di 400 miliardi di dollari in più entro il 2024”, non lo stesso può dirsi per l’altro risultato rivendicato da Trump, quello sui membri Nato che hanno deciso di rispettare il famoso impegno di spendere almeno il 2% del Pil nel comparto Difesa, che sono ancora solo nove (compresi gli Usa) e dunque non sono affatto raddoppiati.

Nel tirare le somme della sua analisi, De Luca si vede costretta a riportare un’ultima cifra, la cui fonte stavolta non è la Casa Bianca ma gli istituti demoscopici. Si tratta dell’indice di gradimento del presidente, che a dispetto delle tante gaffe e delle bugie seriali – o forse proprio per questo – si è appena attestato a quota 49%, che non solo è il dato più alto raggiunto da quando è stato eletto, ma è anche qualche spanna sopra le quotazioni di Obama prima della sua rielezione nel 2012.

Per assicurarsi un secondo mandato, a Trump insomma non resta che proseguire lungo questa china fatta di affermazioni spericolate e non di rado fuorvianti, ma che paiono essere proprio ciò che gli americani vogliono sentirsi dire dal loro commander in chief.

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