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Migranti di seconda generazione in Fvg: integrati, ma di seconda classe

Pubblicato il 10/01/2014 - Messaggero Veneto

«La condizione della seconda generazione di migranti in Friuli Venezia Giulia presenta luci ed ombre. Si può parlare di una integrazione sociale riuscita che convive con forti difficoltà a indirizzare i giovani stranieri verso traiettorie scolastiche e lavorative di alto profilo».

E’ la conclusione cui giunge lo studio dal titolo «La seconda generazione di migranti in Friuli Venezia Giulia – Integrazione sociale, scolastica e lavorativa», realizzato da Marco Orioles, del dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Udine, e che sarà presentato lunedì prossimo alle 17 nella Sala Gusmani (aula magna) di palazzo Antonini, sede dell’ateneo friulano, a Udine.

Ecco le conclusioni: «Questo studio, concepito per analizzare la condizione della seconda generazione di migranti in Friuli Venezia Giulia, ci lascia con alcune notizie buone e altre meno buone».

«Una premessa, anzitutto, relativa ai numeri. Oggi, secondo quanto ha fatto emergere il Censimento 2011, in questa regione vivono un numero di figli degli immigrati (età compresa tra 0 e 25 anni) stimabile tra i 25 e i 30 mila».

«I giovani di origine straniera rappresentano all’incirca un terzo dell’intera immigrazione e quasi il 13% di tutti i giovani della medesima età residenti in Friuli Venezia Giulia: una quota, quest’ultima, significativamente più elevata rispetto alla media nazionale, che si aggira intorno al 9%».

«Più di 14 mila stranieri sono iscritti nelle scuole regionali, con un’incidenza sulla popolazione scolastica complessiva pari all’11,5%: anche qui, un dato superiore a quello italiano. Quelli infine che frequentano i due atenei della regione sono all’incirca 2.500».

«La prima buona notizia emersa da questo lavoro è che la seconda generazione appare generalmente ben integrata nel tessuto sociale e pare aver assorbito la cultura locale in una maniera tale da facilitare le relazioni con gli abitanti della propria città o paese, con i propri compagni di scuola e amici».

«Dalle interviste da noi condotte è emerso che questi ragazzi si trovano abbastanza bene in Friuli Venezia Giulia e ne hanno assimilato la cultura e gli stili di vita al punto di essere indistinguibili, per molti aspetti, dai loro coetanei italiani, con i quali si sono strette amicizie durature e sincere».

«Ma l’assimilazione culturale, per gran parte di loro, si coniuga anche con un’attenzione particolare alla cultura delle origini, ovvero alla cultura dei loro genitori».

«Anche quando si tratta di persone nate in Italia, questi ragazzi mostrano un particolare orgoglio per le proprie radici e mantengono vive le tradizioni e i costumi del paese di provenienza, ad esempio con gli idiomi parlati in quelle realtà nazionali, idiomi che vengono utilizzati fluidamente nelle interazioni con i propri connazionali, parenti inclusi».

«Questo non esclude che vi siano da una parte casi di giovani che si sentono integralmente italiani, che parlano ad esempio benissimo la lingua italiana, anche in famiglia, e rivendicano con soddisfazione la loro somiglianza ed amicizia con i pari italiani, e dall’altra parte individui, pochi a dire il vero, che invece hanno un approccio conflittuale con la cultura e la società del Friuli Venezia Giulia, parzialmente respinte in favore di un attaccamento alla mentalità tradizionale e ai legami sociali nutriti con le comunità etniche presenti in regione».

Poi le conclusioni dello studio dicono che «abbiamo verificato che non solo chi è nato qua, ma anche chi è sopraggiunto in Friuli Venezia Giulia non in tenerà età, ovvero dopo i quattordici anni, ha nei confronti della società e della cultura di accoglienza un approccio di adesione quasi integrale».

«Molti di questi giovani hanno accettato di buon grado e pragmaticamente la realtà di essere cittadini di un nuovo paese, del quale aspirano a riprodurre i principali tratti culturali, tra cui la lingua nazionale».

«I nostri intervistati mostrano cioè in prevalenza un profilo, dal punto di vista dell’identità e dell’integrazione, che ne facilita l’inclusione sociale e rende possibile una pacifica convivenza con gli abitanti del Friuli Venezia Giulia».

«A parte alcuni casi isolati di persone che non hanno accettato la propria condizione e preferiscono ripiegarsi in sé stessi, cullandosi nel ricordo di una patria perduta, la schiacciante maggioranza dei soggetti con cui abbiamo parlato si trova bene in questa regione e con i propri pari italiani, ed è felice di ciò».

«In questo processo di avvicinamento tra stranieri ed italiani, molto ha contato la scuola: tra i banchi si sviluppano rapporti amicali che durano nel tempo e facilitano l’acquisizione dei tratti culturali e delle norme propri del Friuli Venezia Giulia».

«Insomma, l’integrazione sociale della seconda generazione di migranti pare essere un traguardo raggiunto per molti di questi ragazzi giunti da ogni angolo della terra o nati qui da genitori di svariate origini nazionali».

«Ci sembra incoraggiante, da questo punto di vista, il fatto che molti esponenti della seconda generazione hanno avuto o hanno dei rapporti sentimentali con persone autoctone, ovvero hanno avuto ed hanno fidanzati/e italiani».

«Gli stessi soggetti, inoltre, non escludono di sposarsi in futuro con un italiano o un’italiana: un segnale importante, visto che i matrimoni misti sono l’indicatore più eloquente di una genuina società multietnica, che valorizza tutte le sue componenti comprese, naturalmente, quelle venute da fuori».

«La seconda buona notizia concerne la scolarizzazione. I minori stranieri affollano gli istituti delle quattro province regionali in una misura superiore a quella registrata a livello italiano».

«Più di un alunno su dieci è di cittadinanza straniera, una proporzione che è ancora maggiore nei gradi inferiori (scuola primaria anzitutto). Questa è una misura tale da rendere palpabile per gli allievi autoctoni la realtà dell’immigrazione».

«Stando a quanto ci hanno dichiarato i responsabili delle scuole udinesi, da noi scelte quale punto di osservazione, l’integrazione nelle aule avviene abbastanza facilmente. I compagni di scuola sono una guida ottimale per l’inclusione sociale, sono un punto di riferimento per dei giovani che vogliono apprendere come si vive qui e desiderano una vita sociale piena e gratificante».

«Razzismo e discriminazioni non risultano assolutamente la norma per degli istituti che invece paiono favorire la piena integrazione dei propri frequentanti venuti da fuori. Al contrario, l’accoglienza benevola degli alunni italiani è il sintomo più gradevole della graduale formazione di una società multietnica in cui la presenza dei giovani arrivati da lontano rappresenta un elemento di arricchimento per tutti».

«Inoltre, le scuole del Friuli Venezia Giulia sono frequentate a quanto pare con buon profitto dagli allievi stranieri. Stando sempre agli operatori scolastici da noi intervistati, i fenomeni che si sono manifestati con una frequenza scoraggiante nelle scuole italiane quali l’abbandono, la ripetenza e il mancato successo scolastico si presentano qui in misura attenuata».

«Non è inoltre trascurabile la presenza di 2.500 studenti universitari di origine straniera distribuiti nei due atenei di Udine e Trieste, segno tangibile di una volontà di crescita individuale e di aspirazioni professionali di livello medio-elevato».

«Ma è proprio nel mondo della scuola, purtroppo, che abbiamo colto la prima cattiva notizia. Questa concerne in particolare la scelta degli istituti secondari di secondo grado. Esattamente come avviene in altre regioni italiane, la seconda generazione opta più facilmente per la frequentazione di un istituto professionale o di un ente di formazione professionale nonché, in misura minore rispetto ai professionali, di un istituto tecnico, snobbando la più qualificata e impegnativa istruzione liceale».

«I dati da noi raccolti nella città di Udine non lasciano spazio ai dubbi. Solo il 16,8% dei giovani stranieri si iscrive in un liceo o nell’istruzione artistica, contro il 45,8% degli italiani».

«Ben il 41,1% dei figli degli immigrati frequenta invece un istituto professionale, contro il 17% degli italiani, mentre negli istituti tecnici gli iscritti italiani e stranieri sono proporzionalmente equivalenti. Infine, il 10,9% dei giovani stranieri frequenta un ente pubblico di formazione professionale, un dato più che doppio rispetto agli italiani (4,3%)».

«Questo significa che molti alunni di origine straniera si stanno sagomando con profili professionali di tipo medio-basso».

«Essere iscritti in una scuola professionale o in un ente di formazione professionale significa imparare dei mestieri come l’elettricista, il cameriere, il barista, l’estetista e via dicendo; mestieri dunque che fanno capo prevalentemente all’ampio e variegato mondo dei servizi, o meglio in settori del mondo terziario dove le opportunità di crescita individuale sono poche, gli stipendi non sono eccellenti e il lavoro svolto non sempre gratificante».

«Frequentare quegli istituti significa inoltre fermare assai probabilmente la propria parabola formativa al diploma di scuola secondaria di II grado o alla qualifica professionale, senza fare il salto universitario che l’istruzione liceale invece favorisce».

«Si può quindi affermare che sussiste il rischio che una parte significativa della seconda generazione sia incanalata verso un futuro occupazionale modesto e che si stia formando nell’offerta di lavoro un nuovo segmento fatto di giovani che vanno a svolgere lavori poco prestigiosi, poco pagati e dal basso status sociale».

«In altre parole, una parte della seconda generazione finirà per svolgere, e in parte le sta già svolgendo, le stesse mansioni dei propri genitori, che si sono notoriamente accontentati di una integrazione lavorativa subalterna in cambio di un reddito modesto ma comunque più elevato rispetto a quanto si può guadagnare in patria».

«Tra questi giovani, in sostanza, non si verifica alcuna mobilità sociale ascendente rispetto ai propri genitori, come sarebbe invece auspicabile».

«La terza ed ultima notizia negativa proviene dal mercato del lavoro regionale e conferma quanto espresso in merito alla condizione scolastica».

«I dati fornitici dagli Osservatori del mercato del lavoro della Regione Friuli Venezia Giulia e della Provincia di Udine mostrano, anzitutto, come esista una forte domanda di lavoro straniero che coinvolge le prime come le seconde generazioni».

«Nel 2002 sono state 9.500 le assunzioni di giovani stranieri di età compresa tra 16 e 25 anni, che equivalgono al 22% circa del totale degli avviamenti del lavoro di giovani di questa classe di età».

«Più di un quinto della assunzioni di giovani in Friuli Venezia Giulia, insomma, interessa personale di origine straniera».

«A fronte di una domanda così elevata, però, la nostra regione non sembra destinare i figli dei cittadini stranieri verso un presente e un futuro fatto di gratificazioni professionali e redditi cospicui».

«I nostri dati ci dicono che le assunzioni dei giovani stranieri avvengono prevalentemente nei settori in cui si concentra la domanda di lavoro meno qualificata. Come hanno sottolineato i due sindacalisti da noi intervistati, una parte significativa della seconda generazione si inserisce nei segmenti meno attraenti del mercato del lavoro regionale».

«Molti avviamenti al lavoro, inoltre, conducono direttamente i giovani di seconda generazione nella trappola del precariato. Non si può quindi parlare di una situazione rosea per dei giovani che probabilmente aspiravano ad altro e si sono dovuti accontentare, in mancanza di altre prospettive, di lavori umili».

«Questo è certamente un risultato deludente, per chi scommetteva che i figli qui scolarizzati avrebbero avuto nel mondo del lavoro un destino migliore di quello dei genitori».

«Tutto ciò ci conduce a formulare due sintetiche raccomandazioni alle istituzioni, in particolare alla Regione».

«Occorre anzitutto ripensare il sistema di orientamento scolastico, che attualmente canalizza troppo massicciamente la seconda generazione – al momento della scelta della scuola secondaria di II grado – verso gli istituti professionali e gli enti di formazione professionale, dove, per citare i dati della realtà udinese, sono iscritti più della metà degli allievi di origine straniera».

«Bisogna incoraggiare insegnanti e genitori a far compiere agli alunni stranieri scelte formative più qualificanti, che predispongano questi ultimi a costruirsi profili professionali più consoni alla odierna società della conoscenza».

«Al tempo stesso, ed è la nostra seconda raccomandazione, occorrono urgentemente delle politiche del lavoro che valorizzino l’importante risorsa rappresentata da migliaia di giovani che hanno tutte le carte in regola per occupare posizioni lavorative migliori, evitando la costituzione di una underclass che si accontenta di un lavoro qualsiasi pur di non rimanere disoccupata».

«Per il Friuli Venezia Giulia, avere migliaia di giovani economicamente deprivati, socialmente marginali e arrabbiati per i loro magri destini è una situazione poco conveniente; meglio, senz’altro, intervenire prima con soluzioni che solo la politica può produrre».

 «In una società come quella del Friuli Venezia Giulia, toccata pesantemente dal declino demografico, perdere una fetta di giovani sempre più robusta dal punto di vista numerico rappresenterebbe senz’altro una grave ipoteca sul proprio futuro».

 

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