Apartheid femminile nei Paesi islamici in cui vige la shari’a: parla Taher Djafarizad
Non è solo Taher Djafarizad, presidente di NedaDay, a ritenere che Apartheid sia l’espressione più appropriata per definire la discriminazione sistematica di cui sono vittime donne e ragazze nei pochi ma molto tetri Paesi islamici in cui vige la Shari’a, termine che indica la legge islamica derivata dalle fonti canoniche, e oggetto di continue manipolazioni, con cui i regimi come quello degli ayatollah in Iran tentano di legittimarsi attuando in realtà la più odiosa delle dittature, che pretende di controllare persino i costumi e gli atteggiamenti privati dei cittadini. Nel suo libro intitolato “Apartheid femminile nei paesi islamici in cui vige la Shari’a”, Djafarizad racconta i soprusi dell’Afghanistan del talebani o della Repubblica Islamica, dove dopo il caso di Mahsa Amini, la giovane curda malmenata a morte nel settembre 2022 dalla polizia morale a Teheran perché mal velata, numerosissime donne e ragazze hanno sfidato il diktat dell’hijab obbligatorio bruciandolo in piazza a rischio della propria stessa vita nel contesto di quelle imponenti e protratte manifestazioni con cui ha preso vita il movimento Donna, Vita, Libertà, insignito l’anno scorso dal Parlamento di Strasburgo del premio Sacharov per la libertà di pensiero .
Aprendo il 12 dicembre 2023 la cerimonia di conferimento del Premio, la presidente Roberta Metsola ha dichiarato: “Il premio Sacharov per la libertà di pensiero di quest’anno, assegnato a Jina Masha Amini e al movimento Donna, Vita, Libertà, è un omaggio a tutte le donne, gli uomini e i giovani iraniani, coraggiosi e provocatori, che nonostante le crescenti pressioni, continuano a lottare per i loro diritti e a spingere per il cambiamento. Il Parlamento europeo vi ascolta e vi sostiene. Non siete soliʺ.
Intervista realizzata da Marco Orioles a Pordenone il 7 maggio 2024.