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Attenti alle moschee: così si fa il gioco dei jihadisti

Pubblicato il 07/07/2017 - Il Friuli

I contro-assalti a due moschee europee – uno a Londra e l’altro a Creteil, a sud di Parigi – sono pessime notizie per il nostro continente. Non solo per le modalità con cui sono avvenuti, con la tecnica del veicolo-ariete che fino ad ora era prerogativa dei jihadisti. Ma soprattutto, per il clima di odio che questi attacchi tradiscono. Qualcuno dirà: era solo questione di tempo prima che qualcuno, in Europa, facesse giustizia delle centinaia di morti causati dagli attacchi dello Stato islamico. Ma a parte che non è così che si può ottenere giustizia, colpendo dei fedeli innocenti davanti ai loro luoghi di culto. Il problema è che simili attacchi fanno il gioco dello Stato islamico. È dai tempi ruggenti di al Qa’ida e degli attentati che hanno insanguinato Madrid (11 marzo 2014) e Londra (7 luglio 2015) che la strategia jihadista è esattamente questa: provocare una reazione popolare che alimenti l’avversione nei confronti dei musulmani. Con il risultato di predisporre questo ultimi ad abbracciare la causa radicale che il jihadismo porta avanti e ad ingrossare le fila delle reclute pronte a compiere attentati. Fomentare l’ostilità reciproca, creando una frattura tra islamici e autoctoni, è una strategia sopraffina. Che mira a dare corpo allo scenario ideale per i jihadisti: lo scontro di civiltà. Scenario ideale perché porta, nel lungo termine, al compattamento dei musulmani contro di noi. Ciò di cui al Qa’ida prima e lo Stato islamico oggi hanno bisogno è di un popolo che nutre odio nei confronti dell’Occidente e si solleva con l’obiettivo di distruggerlo. È evidente che, se gli atti contro gli islamici dovessero continuare, questo scenario avrebbe concrete possibilità di realizzarsi. Creando le condizioni per una guerra civile il cui teatro sarebbero le nostre città. Ribellioni di massa e terrorismo diffuso: ecco cosa dovremmo attenderci se la logica della rappresaglia spontanea dovesse imporsi. L’unica soluzione per evitare questo incubo è moltiplicare gli sforzi per l’integrazione. Far sì che i musulmani si sentano a casa loro è la via maestra per evitare che la convivenza si deteriori. Il messaggio che dobbiamo trasmettere agli islamici europei è che sappiamo distinguere tra chi pratica la violenza e ambisce a sottometterci e chi invece vive qui pacificamente, ci rispetta e non coltiva ambizioni di islamizzazione forzata e di nefasti bagni di sangue. Senza nasconderci la verità amara che una minoranza, fortunatamente sparuta, di musulmani europei condivide le idee macabre dei jihadisti, dobbiamo lavorare per isolarla e indurla a cambiare atteggiamento.

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