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Il nodo del disarmo ferma la pace a Gaza

Pubblicato il 25/10/2025 - Messaggero Veneto

Hamas 1200

Il disarmo di Hamas rappresenta il cuore pulsante ma anche il principale ostacolo del piano di pace per Gaza proposto dal presidente Usa Donald Trump. Il piano in 20 punti, firmato il 9 ottobre a Sharm el-Sheikh, si scontra con una realtà complessa, segnata da recenti violenze e una profonda sfiducia tra le parti. La prima fase, avviata con il rilascio di 20 ostaggi israeliani vivi da parte di Hamas il 13 ottobre, ha segnato un inizio promettente. Tuttavia, la seconda fase, che richiede il disarmo di Hamas e di altri gruppi militanti palestinesi, si preannuncia come la più ardua. Hamas, al potere a Gaza dal 2007, ha intensificato la repressione contro dissidenti e presunti collaboratori di Israele, con esecuzioni pubbliche alcune delle quali compiute da uomini con le fasce verdi delle Brigate Qassam. Questi episodi hanno suscitato allarme, spingendo Trump a lanciare un monito: se Hamas non disarmerà, rischia una fine “veloce, furiosa e brutale”. Tuttavia, il capo della Casa Bianca ha mostrato una certa flessibilità sui tempi, minimizzando alcune violenze come un’azione contro “gang molto cattive” che “non lo preoccupano molto”: Il vice presidente Usa JD Vance, in visita in Israele il 21 ottobre, ha espresso ottimismo sulla tenuta del cessate il fuoco, affermando che “le cose stanno andando meglio di quanto mi aspettassi”. Tuttavia, ha riconosciuto che l’attuazione del piano richiederà “molto, molto tempo” e che il disarmo di Hamas è una condizione imprescindibile. La cautela di Vance riflette la complessità logistica e politica, soprattutto considerando che Hamas non ha chiarito la sua posizione sul disarmo. Mohammed Nazzal, membro del politburo di Hamas, ha dichiarato a Reuters: “Non posso rispondere con un sì o un no. Dipende dalla natura del progetto. A chi consegneremo le armi?”, evidenziando l’assenza di un meccanismo chiaro per la consegna delle armi. Il parallelo con l’accordo del Venerdì Santo tra Gran Bretagna e gli scissionisti irlandesi dell’Ira offre spunti ma anche moniti. L’IRA considerava le armi parte integrante della propria identità, e il processo di disarmo richiese quasi nove anni, supervisionato da due figure religiose indipendenti, un modello difficilmente replicabile a Gaza. I ministri israeliani di destra come Ben-Gvir e Smotrich probabilmente esigerebbero prove tangibili della distruzione delle armi. Le recenti violenze a Gaza, come l’attacco alle forze israeliane a Rafah e le rappresaglie di Hamas contro clan locali accusati di collaborazionismo, complicano ulteriormente il quadro. Netanyahu ha insistito affinché Hamas rispetti gli obblighi del disarmo, mentre il ministro della Difesa Katz ha ordinato ai comandanti militari di preparare un piano per sconfiggere Hamas in caso di mancato rispetto dell’accordo. La strategia israeliana di armare clan rivali per indebolire Hamas si è rivelata nel frattempo controproducente, rafforzando invece il controllo del gruppo. L’esperienza dell’IRA insegna che il disarmo richiede tempo, pazienza e un’alternativa politica credibile. A Gaza, la mancanza di un’autorità chiara a cui consegnare le armi, l’opposizione israeliana a cedere il controllo all’Autorità Palestinese e la frammentazione interna tra Hamas e altri gruppi militanti rendono il processo estremamente arduo. La strada verso la pace richiede leader disposti a correre rischi politici, ma in un contesto di violenza radicata e sfiducia, il disarmo di Hamas rimane una sfida che mette alla prova la volontà di tutte le parti.

Marco Orioles

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