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Saggi

IL FUTURO DELL’ITALIA MULTIETNICA: DA RISCHIO A OPPORTUNITÀ

Marco Orioles

In Italia vivono oggi cinque milioni di stranieri. Secondo le proiezioni dell’Istat, nel 2034 la cifra raddoppierà. Questi dati sollecitano una riflessione sulla società multietnica che sta prendendo forma all’interno della penisola. Sarebbe inoltre opportuno ragionare sugli sviluppi futuri di questa profonda trasformazione di ordine demografico, sociale e culturale. La situazione attuale, com’è noto, vede gli immigrati in una condizione di sostanziale invisibilità, con una partecipazione circoscritta ad alcune dinamiche del sistema economico. Come viene da più parti sottolineato, il contributo dei cittadini stranieri alla nostra economia è tutt’altro che irrilevante, anzi. Senza questa presenza, interi ambiti e settori, a partire dal sistema delle PMI di cui andiamo giustamente fieri, patirebbero il vuoto di una manodopera che gli italiani rifiutano di rappresentare. Il contributo al PIL dei lavoratori stranieri è sostanzioso, e il fenomeno emergente dell’imprenditoria immigrata sta assumendo grande rilevanza.

Il fenomeno migratorio sta inoltre a sua volta conoscendo dei cambiamenti. Stanno infatti entrando in scena nuovi protagonisti: le seconde generazioni (G2). Stiamo parlando di un segmento di popolazione che secondo l’ultimo censimento ha superato la soglia del milione di unità, ottocentomila delle quali sono attualmente sui banchi delle nostre scuole. Centinaia di migliaia di giovani che sono stati definiti ‘nuovi italiani’, perché a quanto pare ben disposti ad assimilare la nostra cultura e ad armonizzarla con i peculiari tratti culturali che rimandano alle proprie origini. Le loro aspettative in merito al posto da occupare nella società sono inoltre profondamente diverse da quelle dei genitori, che si sono accontentati di un’inclusione subalterna nel mercato del lavoro. Come si sa, i loro padri e le loro madri svolgono i famosi ‘lavori delle cinque P’: poco pagati, precari, pericolosi, penalizzati socialmente, poco professionalizzanti. Questa prospettiva non si confà tuttavia alle G2, i cui sogni non sono dissimili da quelli dei loro coetanei autoctoni. Essi puntano ai cosiddetti ‘lavori delle 3 M’: medico, magistrato e matematico.

Studiare i processi di integrazione delle G2 consente in un certo senso di immaginare i lineamenti dell’Italia multietnica del 2034. Una serie di interrogativi scandiscono quest’analisi. La nostra sarà una società armoniosa dove ciascuno, indipendentemente dalle proprie origini, occuperà il posto che gli spetta sulla base delle proprie predisposizioni e capacità, e in cui le culture si incontreranno in una terra di mezzo che incentiva e promuove la condivisione dei valori? O sarà, invece, una società balcanizzata, fatta di comunità che coesistono senza né coesione né scambi reciproci? Dal punto di vista economico, stranieri e italiani parteciperanno pariteticamente alla produzione della ricchezza, allo slancio creativo e imprenditoriale di cui l’Italia è campione? O si riproporrà invece la situazione di oggi, caratterizzata da una stratificazione su basi etniche che vede gli italiani svolgere i mestieri più prestigiosi e gli stranieri relegati ai livelli inferiori? Sullo sfondo di tali quesiti c’è una questione centrale: l’equilibrio di una società sempre più segnata dal pluralismo culturale, valoriale, religioso.

Per non farci cogliere impreparati dalle trasformazioni in atto, anticipando dunque il futuro anziché subirlo, un buon metodo può essere l’esame della situazione che si riscontra nei paesi in cui il fenomeno migratorio si è manifestato prima rispetto a noi e in cui l’integrazione delle G2 ha già avuto luogo. Da qui, purtroppo, non giungono segnali incoraggianti. Scrutando il panorama europeo, si scorgono inequivocabili indicatori di difficoltà, con le seconde e ormai anche le terze generazioni che non solo non fanno il salto di qualità rispetto alle prime, ma compiono addirittura una parabola discendente. Per farsene un’idea basta un rapido sguardo ai vari saggi e rapporti di ricerca stilati negli ultimi anni. Sfogliando questa letteratura, si resta stupefatti dalla convergenza delle conclusioni. Nel loro La seconda generazione in Europa e negli Stati Uniti, Thomson e Crul denunciano con tanto di prove «l’integrazione fallita» delle G2. Facendo il punto sulla situazione del mercato del lavoro in Francia, Gran Bretagna e Germania, Algan, Dustmann, Glitzand e Manning ne ricavano «una chiara indicazione che – in ogni Paese – la performance […] della maggior parte dei gruppi immigrati nonché dei loro discendenti è, in media, peggiore di quelle della popolazione nativa». Il progetto ‘The Integration of the European Second Generation’, che ha coinvolto quindici città in otto paesi (Svezia, Germania, Olanda, Belgio, Francia, Austria, Spagna, Svizzera), ha rilevato come una quota considerevole delle G2 fuoriesce dal percorso educativo senza un diploma di scuola secondaria, mentre chi è già attivo nel mercato del lavoro subisce sovente odiose forme di discriminazione. Il progetto ‘Successful Pathways for the Second Generation of Migrants’ condotto in Italia, Austria, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Slovenia, Svizzera, conclude mestamente che «molti giovani di seconda generazione […] non riescono a raggiungere un alto livello di capitale umano, inteso come conseguimento di risultati formativi e di competenze professionali, necessari per salire la scala sociale». Il «ritratto statistico» delle G2 europee realizzato dall’EUROSTAT sottolinea come «i problemi di integrazione» degli immigrati si estendono «ai loro discendenti nati sul posto, che tendono a sperimentare maggiori difficoltà [rispetto ai nativi] nell’educazione e nel mercato del lavoro». L’organismo statistico comunitario rileva in particolare come «i giovani nati sul posto con un background migratorio sono generalmente a rischio di abbandonare i sistemi educativi e di apprendistato senza aver ottenuto un diploma» e che il loro tasso di disoccupazione è pressoché ovunque superiore rispetto a quello dei nativi.

L’Europa, dunque, non sembra essere stata all’altezza della sfida. Troppo spesso, l’integrazione delle G2 è avvenuta al ribasso, e il disagio di questo giovani si palesa frequentemente anche con fenomeni di ribellione se non, addirittura, di terrorismo. La lezione del Califfato in Siria e Iraq, alla cui barbarie stanno contribuendo migliaia di giovani musulmani europei, rappresenta un chiaro monito. A questo punto chiediamocelo: cosa accade in l’Italia? Come procede l’integrazione dei ‘nuovi italiani’? Le scienze sociali, in particolare la sociologia, monitorano da tempo la situazione, nello sforzo di capire se la strada in cui ci stiamo incamminando è la stessa degli altri paesi europei o se invece esiste una peculiare via italiana all’integrazione, possibilmente migliore di quella adottata altrove.

Le fotografie scattate finora sono ambivalenti e mettono in rilievo due aspetti. L’integrazione dei figli degli immigrati procede con successo sul piano sociale e culturale. Le G2 sembrano identificarsi con il nostro Paese, ne assorbono la lingua e ne riproducono costumi, mentalità, stili di vita. Stringono amicizie con tutti, senza preclusioni o barriere. Questi segnali positivi convivono però con altri di natura differente. A scuola, gli alunni stranieri si distinguono troppo spesso per i loro percorsi accidentati, con frequenti episodi di ripetenza, ritardo, dropout che, se coinvolgono anche gli studenti italiani, tra i primi si registrano con maggiore frequenza. Molta attenzione ha attirato il fenomeno della ‘segregazione formativa’: gli adolescenti stranieri si iscrivono nelle scuole professionali e tecniche in proporzioni decisamente maggiori rispetto ai coetanei italiani, che prediligono i licei. Precludendosi, così, il passaggio all’università e l’accesso alle professioni più qualificate. Le conseguenze sul piano economico sono già visibili. Gli indizi raccolti finora dimostrano che l’inclusione delle G2 nel mondo del lavoro è connotata dagli stessi tratti di subalternità che hanno caratterizzato quella dei genitori. Mettendo a fuoco la situazione del Friuli Venezia Giulia nell’opera da poco pubblicata E dei figli, che ne facciamo? (Aracne, Roma 2015), chi scrive ha dovuto constatare la complessità di questo problema. I dati da noi raccolti sono inequivocabili: edilizia, agricoltura, industria e i segmenti inferiori del comparto dei servizi sono i settori che si aprono più facilmente al contributo delle G2. Un dato spicca su tutti: sul 100% delle assunzioni di personale giovane nel settore primario, quasi il 50% riguarda ragazzi di origine straniera.

La balcanizzazione della società rappresenta dunque il nostro futuro? Saremo in grado di evitare quel che accade in Gran Bretagna o in Francia, dove le G2 covano rancore nei confronti di un sistema che, dal loro punto di vista, non vuole includerli se non al prezzo della ghettizzazione? Prima di rassegnarci al pessimismo, sarebbe auspicabile l’elaborazione di strategie ad hoc che si facciano carico di affrontare una questione sociale così rilevante. Chi scrive non vuole suggerire ricette, che spetta ad altri mettere in campo. Siamo tuttavia del parere che i rischi che abbiamo delineato possano trasformarsi addirittura in opportunità. Questo, almeno, è il messaggio lanciato proprio durante il Future Forum da Jay Mitra, docente all’Essex Business School. Mitra ha le idee molto chiare su cosa fare dei figli degli immigrati. La sua proposta si impernia su una formula accattivante: valorizzare il «tesoro nascosto» che si trova in seno all’immigrazione.

Il ragionamento di Mitra prende spunto da una dimensione emergente da noi già citata: la spiccata propensione dei cittadini stranieri a mettersi in proprio. Alla base di questo fenomeno c’è, tra le altre cose, la capacità di avvantaggiarsi dei network tessuti da individui che si muovono a cavallo tra più mondi. Se sostenuta e incoraggiata, questa posizione potrebbe svilupparsi ulteriormente e coinvolgere proprio le G2. «L’unico modo per superare i problemi di integrazione che oggi ci troviamo ad affrontare», ha spiegato Mitra, «è avere un approccio imprenditoriale all’immigrazione, identificare e promuovere gli aspetti creativi legati al movimento delle persone per mettere i vari Paesi nelle condizioni di lavorare insieme e creare un futuro più imprenditoriale per le nostre economie. […] Un’imprenditorialità intesa come creatività, come creazione di imprese innovative, di nuovi modelli organizzativi e nuove soluzioni finanziarie».

Quello suggerito da Mitra è un percorso praticabile e potrebbe rappresentare la soluzione che stiamo cercando. Con il sostegno da parte delle istituzioni e delle associazioni di categoria, accompagnato magari dalla predisposizione di appositi percorsi formativi, potrebbe nascere un nuovo corso in cui i cittadini stranieri, da utile risorsa entro un recinto di opportunità precisamente delimitato, diventerebbero protagonisti di una stagione nuova le cui ricadute economiche sono evidenti e a vantaggio di tutti. Tentar non nuoce.

 

Marco Orioles

Dottore di ricerca in Sociologia della comunicazione, media e identità presso il Dipartimento di Scienze umane delle Università di Udine e di Verona. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca, esplorando tematiche che vanno dalle comunicazioni di massa alle migrazioni internazionali, dal mercato del lavoro al mondo minorile, dagli eventi dell’11 settembre 2001 alla guerra in Iraq. È stato docente a contratto di varie discipline sociologiche presso le Università di Udine e di Verona.

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Il presente contributo è apparso in:

Anteprime di futuro/Future previews

dal/from Future Forum, Udine-Napoli 2014

Il volume riunisce gli interventi presentati alla seconda edizione 2014 del Future Forum, dedicato all’innovazione e al futuro, nelle città di Udine e di Napoli. Impresa, lavoro, città e territori, socialità, istruzione, ricerca, sviluppi prossimi e in divenire. In questo volume si raccolgono gli interventi di alcuni degli esperti delle maggiori organizzazioni internazionali, studiosi e ricercatori italiani che hanno partecipato ai programmi di Future Forum nel 2015, per anticipare le trasformazioni che attendono nei prossimi anni l’economia e la società.
Qui l’indice e le prime 5 pagine dell’opera, che potete acquistare nel sito dell’editore.

Anno di Pubblicazione

2015

Editore

Forum

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