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Attacco alle moschee: dall’imam di Pordenone le parole più sagge

Pubblicato il 20/03/2019 - La Vita Cattolica

di Marco Orioles

Quanto dista la Nuova Zelanda dal Friuli? La risposta è: zero. Il terrore che si è propagato venerdì da Christchurch, ridente cittadina universitaria della nazione più pacifica del pianeta, ha raggiunto la nostra terra in un battibaleno, suscitando tra di noi il medesimo sconcerto, paura, rabbia, e frustrazione. Merito, se così si può dire, di una comunicazione telematica – l’atroce diretta Facebook della strage delle due moschee – sfruttata dall’artefice dell’attacco, l’australiano Brenton Tarrant, per veicolare istantaneamente e ovunque il suo messaggio di morte. Che, come un fulmine, è atterrato anche qui, in Friuli, costringendoci a constatare quanto sia fragile, e in pericolo, la convivenza tra culture e religioni diverse. A reagire alla sanguinosa provocazione di Tarrant, domenica, è stata la comunità musulmana di Pordenone, un compendio della diaspora islamica sparsa nel mondo e simbolo di un’integrazione possibile. L’imam Mohammed Osni ha chiamato a raccolta i confratelli e la cittadinanza tutta per un momento di preghiera per le vittime di Christchurch. Un’occasione, anche, per esternare i propri sentimenti. “Abbiamo paura”, confida Osni ai microfoni della Tgr. Nel chiedere di arginare l’“islamofobia dilagante” che ha armato la mano del terrorista, l’imam ha toccato il cuore del problema. Un problema costituito dalle idee, tutt’altro che confinate ad un sottobosco di estremisti, di cui si nutre tale odio fanatico. Idee incarnate dai personaggi che Tarrant ha incluso nel suo pantheon, i loro nomi scritti nel calcio del fucile usato per massacrare cinquanta uomini e donne in preghiera. C’era, in quella lista, il nome di Luca Traini, lo sparatore di Macerata che un anno fa solo per miracolo non mandò all’altro mondo i sette migranti africani finiti nel suo mirino. Dinanzi all’inquietante filo che dalla Nuova Zelanda si dipana fino all’Italia, Osni non si lascia trascinare però in futili polemiche. “Chiedo a tutti”, dichiara, “di avere il coraggio di definire” quello di Christchurch come un “attacco terroristico”, senza però “legare questa parola, terrorismo, ad una religione”. “Quando diciamo un terrorista ‘islamico’, un terrorista ‘cristiano’, un terrorista ‘ebreo’”, facciamo secondo Osni un errore madornale. “Non possiamo – spiega – attaccare questa parola, terrorismo, ad una religione: un terrorista è un terrorista”. È un invito, quello dell’imam, a non cercare scorciatoie interpretative dinanzi alla violenza. A nessuno è venuto in mente di definire Tarrant o Traini “terroristi cristiani”. È una tentazione in cui non cadono sicuramente i musulmani di Pordenone. A cui la convivenza pacifica in questo fazzoletto di terra sta a cuore più di ogni altra cosa. Il Friuli è la loro patria, condivisa con i cattolici, gli ortodossi, i protestanti, i buddisti, i sikh. Comunità che non edificano steccati, tanto meno ideologici. Il nemico della convivenza non ha solo le fattezze di un uomo armato che uccide fedeli inermi. Quel nemico alberga anzitutto nelle menti di chi non vuole identificare nei musulmani i vicini di casa, i colleghi, i concittadini. E che, di fronte alle tragedie che si consumano in giro per il pianeta, si rifugia in velenosi stereotipi. “Ringrazio il Papa, che è un grande messaggero di pace nel mondo”, dichiara Osni, ricordando la preghiera per i “fratelli musulmani” della Nuova Zelanda scandita durante l’Angelus di domenica. Una preghiera che infonde la speranza che, da questo orribile fatto di sangue, l’umanità tragga un insegnamento consono.

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