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Chi era davvero Hamza bin Laden?

Pubblicato il 02/08/2019 - Start Magazine

Conversazione di Start Magazine con il direttore del Centro Studi Internazionale (Ce.S.I.), Gabriele Iacovino, sulla notizia della morte di Hamza bin Laden, il figlio prediletto dell’architetto degli attentati dell’11 settembre 2001

 

La notizia della morte di Hamza bin Laden, il figlio prediletto dell’architetto degli attentati dell’11 settembre 2011 nonché candidato ad assumere la guida della sua creatura, al Qa’ida (AQ), merita certamente una riflessione.

Per cercare di capire chi fosse Hamza, quale ruolo gli fosse affidato nell’organizzazione jihadista e quali conseguenze la sua uscita di scena possa produrre nella scena del terrorismo globale di matrice islamista, Start Magazine si è rivolto al direttore del Centro Studi Internazionale (Ce.S.I.), Gabriele Iacovino.

Direttore, i media americani hanno diffuso la notizia che Hamza bin Laden sarebbe stato ucciso in un’operazione di cui non conosciamo né chi l’abbia messa a segno, né il luogo, né la tempistica.

E proprio la tempistica la cosa strana di questo annuncio. Da quanto sappiamo, Hamza bin Laden dovrebbe essere stato ucciso nei due anni passati. Fa riflettere, in questo senso, che non ci siano stati annunci di questa morte da parte di AQ, che non sia stata cioé diffusa una eulogia funebre che è sempre stato un rito fisso nel mondo jihadista, sia nel qaedismo che nell’ambiente dello Stato Islamico. Sarebbe la prima volta in assoluto che AQ non annuncia la morte di un martire. Questo è ancor più strano visto che riguarda un leader potenzialmente così importante come Hamza.

Anche la morte del mullah Omar, il leader dei talebani, sei anni fa fu tenuta nascosta dai talebani e dai qaedisti, che la resero nota solo molto tempo dopo.

In quel caso c’era un motivo politico molto forte. Si trattava di nascondere la debolezza della leadership talebana, e la mancanza di un turn-over nella stessa leadership, nel momento in cui i talebani stavano aprendo un dialogo con il governo di Kabul e con Washington. Per questo fu deciso di tenere nascosta la morte del mullah, o comunque di rinviarne l’annuncio. È dunque possibile immaginare che il mancato annuncio della morte di Hamza bin Laden celi le stesse motivazioni politiche, volte a non sottolineare ulteriormente la debolezza di AQ nel palcoscenico del jihad globale.

Dai documenti prelevati dagli Usa nel compound pakistano di Abbottabad durante il raid che portò alla morte di Osama nel 2011 è emerso che il padre stava allevando il figlio come futuro leader di AQ. Sappiamo anche che dal 2015 Hamza ha cominciato a fare discorsi pubblici in cui incitava alla guerra santa contro l’Arabia Saudita, gli Usa, Israele ecc. Possiamo considerare queste come le prove tecniche per una incoronazione che sarebbe arrivata magari dopo la morte o deposizione dell’attuale leader di AQ, Ayman al-Zawahiri?

 Hamza è sempre stato il figlio prediletto di Osama. In parte perché lo ha avuto dalla moglie preferita, e in parte perché era stato, di tutta la prole del capo jihadista, il più vicino al padre nell’evoluzione del suo percorso, dal Sudan all’Afghanistan. Ricordo che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2001 e l’inizio delle operazioni militari Usa in Afghanistan, Hamza era scappato in Iran con il gruppo di AQ, e che vi era uscito nel 2011 per ricongiungersi al padre ad Abbottabad. Sembra anzi che Hamza abbia lasciato il compound di Abbottabad uno o due giorni prima del raid dei Navy Seals.

Raid che, togliendo di mezzo il leader del jihadismo globale, rappresentò un duro colpo per l’organizzazione. Che ruolo ha svolto Hamza dopo?

C’è stata la necessità di AQ di individuare una leadership carismatica che non è quella dell’attuale capo, Ayman al Zawahiri. Zawahiri, al contrario di Hamza, ha sempre avuto le capacità organizzative e gestionali del gruppo, ma sconta il fatto di non avere le caratteristiche personali per poter fare da traino politico e comunicativo del gruppo. Ne è una dimostrazione il fatto stesso che lo Stato Islamico e il califfo Abu Bakr al-Baghdadi abbiano surclassato AQ dal punto di vista comunicativo. Hamza poteva rappresentare il tentativo di AQ di trovare una nuova figura carismatica e accattivante dal punto di vista comunicativo, con il valore aggiunto del nome indubbiamente prestigioso.

Magari Hamza poteva essere l’uomo giusto per ricucire lo strappo con cui lo Stato islamico nel 2013 uscì da AQ generando di fatto un dualismo nel panorama del jihad globale.

È probabile. A proposito dello strappo di cui le parla, occorre sottolineare che quella fu una rottura vera e propria del jihadismo iracheno rispetto alla leadership di AQ. Ricordo che il jihadismo iracheno era nato da una figura di rottura rispetto ad Osama bin Laden, che era quel Zarqawi che non era mai stato all’interno della leadership di AQ in Afghanistan ed era anzi visto con diffidenza dall’inner circle di Osama. Nonostante questo, Osama credette in lui e gli diede le chiavi dell’Iraq. Zarqawi però portò avanti una politica in Iraq aliena rispetto alla volontà della leadership di AQ rendendo molto violento lo scontro tra la comunità sunnita e quella sciita, cosa che Osama non voleva assolutamente perché pensava che avrebbe creato diffidenza all’interno della umma (la comunità islamica mondiale, ndr) nei confronti di AQ.  È da questa radice di rottura che al Bagdhadi prenderà più avanti le redini del gruppo iracheno e gli cambierà nome. Questa rottura diventa lampante nel momento in cui scoppia la guerra civile siriana e lo Stato Islamico d’Iraq trova ampie praterie d’azione all’interno della Siria. E se l’obiettivo di Zawahiri era cercare di creare un gruppo forte in AQ Siria, Baghdadi decise di non seguire le sue direttive ma di autoproclamarsi leader.

Quindi, da quando si è consumato questo strappo, esistono di fatto due portabandiera del jihad globale. Quali le differenze più macroscopiche?

Anzitutto, la leadership di AQ è quella che si nasconde nelle caverne. Che prima comunicava con l’esterno  con le videocassette date ai giornalisti di al Jazeera e, poi, con le pen drive. Quella di AQ non è mai stata la comunicazione accattivante e globalizzante dello Stato islamico con i suoi video di fattura occidentali realizzati quasi in tempo reale rispetto ai fatti che si volevano raccontare. La stessa ideologia veicolata dai filmati dello Stato Islamico era molto accattivante rispetto al pubblico occidentale per il quale erano pensati. E qui troviamo un’altra differenza fondamentale: in AQ non abbiamo mai parlato di foreign fighters europei. Ci sono stati certamente, prima del 2001, cittadini europei di fede islamica che si recavano in Afghanistan nei campi di addestramento di AQ e poi facevano ritorno per poter essere utilizzati in operazioni su suolo europeo. Ma di fatto non si è mai parlato di questa mole – tutte le stime parlano di un numero compreso tra 5 e 6 mila – di persone partite dall’Europa per fare il jihad in Siria ed Iraq. Nel caso dello Stato Islamico insomma si è realizzato un vero e proprio cambio di paradigma, nel contesto tra l’altro di un ricambio generazionale, con una leadership nuova e più giovane che ha deciso di non dare più importanza al messaggio ideologico di AQ.

In tutto questo, il giovane Hamza si è mai impegnato, magari con ruoli operativi, nel rilancio di AQ?

 Assolutamente no. Hamza nel 2001 era troppo giovane per poter svolgere un ruolo operativo. Subito dopo è scappato in Iran del cui governo è rimasto prigioniero fino al 2011. A quel punto si può immaginare che si sia riunito al simulacro di leadership di AQ in Afghanistan o in Pakistan e che quindi sia entrato in contatto con Zawahiri. È possibile immaginare che Hamza si stesse preparando a diventare un perno della nuova strategia di AQ, che da gruppo ospite in territorio straniero ha deciso di diventare gruppo strutturato munito di controllo del territorio, quindi sulla falsariga dello Stato Islamico anche se in contesti e dimensioni totalmente differenti. L’attuale localizzazione di AQ si concentra infatti in posti come il Nord Africa, il Sahel, il Sudest Asiatico, in stretto raccordo con il tessuto sociale locale. Ecco, Hamza era in procinto di diventare il nuovo coordinatore di questo sforzo di sfruttamento dei legami locali per portare avanti un discorso di maggior controllo del territorio.

In conclusione, per i bersagli del jihadismo, come lo stesso Occidente, cosa significa la notizia della morte di Hamza? Forse che AQ è un movimento braccato che non pone più un pericolo serio?

Se la notizia fosse confermata, sarebbe proprio così. Resta il fatto che, in questa lotta contro il jihadismo globale, il nostro nemico – e qui intendo il nemico dell’Occidente, della comunità internazionale e dei musulmani stessi – si evolve. Se noi non continueremo a cercare di ridurre il territorio culturale di queste ideologie, queste ideologie cambieranno nome e bandiera. Può darsi che, dopo aver battuto AQ e lo Stato Islamico, tra qualche anno ci ritroveremo a combattere chissà dove un’altra organizzazione molto simile e altrettanto pericolosa. Se non andremo a combattere le ragioni sociali, politiche ed economiche alla base del malcontento che offre ampio spazio di azione all’ideologia jihadista, noi continueremo a sconfiggere queste sigle che però poi cambieranno nome e bandiera e continueranno a usare il terrorismo per portare avanti le proprie idee.

 

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