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Cina, Russia, Egitto e Cipro, tutte le novità fra energia e geopolitica

Pubblicato il 14/09/2020 - Energia Oltre

Alcuni dei dossier più caldi a cavallo tra energia e geopolitica nel Taccuino estero a cura di Marco Orioles per Energia Oltre

Uno dei progetti cui l’Ue aspira vedano la luce per rifornirsi di energia nel Mediterraneo orientale riguarda lo sfruttamento del giacimento chiamato Afrodite che si trova al largo di Cipro.

DOSSIER AFRODITE

Alla ricerca della soluzione per far arrivare in Europa il gas di Afrodite, quella più razionale che si è trovata comporta, secondo l’analisi fatta da al Monitor, la costruzione di una pipeline che porti il gas fino in Egitto, dove impianti di liquefazione provvederebbero a trasformarlo in GNL per la riesportazione in Europa.

L’accordo tra Egitto e Cipro per realizzare questa pipeline marittima è stato siglato nel settembre 2018.

EGITTO E CIPRO HANNO SIGLATO GLI ACCORDI PER LA REALIZZAZIONE DELLA PIPELINE MARITTIMA NEL 2018

Sono due gli impianti di liquefazione presenti in Egitto. Il primo è l’impianto EDCO posseduto dalla Egyptian Liquefied Natural Gas Company, e comprende due unità di liquefazione. Il secondo è quello di Damietta, è di proprietà della società italo-spagnola Fenosa e ha un solo impianto di liquefazione.

È a partire da queste unità che il gas proveniente da Afrodite dovrebbe essere liquefatto e poi caricato in navi per essere trasportato verso la sua destinazione finale.

SECONDO FONTI GOVERNATIVE EGIZIANE IL PROGETTO POTREBBE ESSERE TERMINATO NEL 2024-25

Secondo le fonti di al Monitor, il progetto starebbe procedendo speditamente: un funzionario del governo egiziano ha dichiarato che i colloqui con la controparte cipriota per assicurarsi il completamento del progetto nei tempi previsti procedono regolarmente, e si stima che entro il 2024-5 l’intera filiera sarà in funzione.

Cipro ha molta fiducia nelle capacità del Cairo, che con il suo maxi-giacimento Zohr scoperto dall’ENI cinque anni fa sta dimostrando di avere le capacità tecniche per gestire processi complessi come quelli che riguardano il gas naturale.

A tal proposito, Gamal al-Qalyubi, un docente di ingegneria del petrolio e dell’energia dell’Università del Cairo, è convinto che l’Egitto sia perfettamente in grado di completare e mettere in funzione una infrastruttura dal costo stimato di 1,3 miliardi di dollari.

Maher Aziz, membro del World Energy Council, è altresì convinto che con la realizzazione della pipeline l’Egitto riuscirà ad affermarsi come campione dell’energia nella regione e come leader delle esportazioni in Europa.

Resta solo un problema che è stato ben evidenziato da Charles Ellionas, CEO di Cyprus Natural Hydrocarbons Company ed esperto di energia all’Atlantic Council. Affinché la pipeline sia effettivamente costruita, occorre che le compagnie che hanno la licenza su Afrodite, e dunque Chevron, Shell e Delek, trovino gli acquirenti per il gas del giacimento in Egitto.

RESTA IL PROBLEMA, INSORMONTABILE NELL’ATTUALE CONGIUNTURA, DI TROVARE IN ANTICIPO I CLIENTI DEL GNL EGIZIANO PROVENIENTE DA CIPRO

Questo obiettivo potrebbe essere compromesso, secondo Zenonas Tziarras, ricercatore che si occupa di geopolitica del Mediterraneo, dall’attuale pandemia, che ha sconvolto il mercato rendendolo imprevedibile e sconsigliando gli investimenti a lungo termine, e dalle importanti scoperti di idrocarburi fatte in Egitto negli ultimi tempi, talmente importanti da permettere al Cairo di annunciare di diventare molto presto autosufficiente quanto a gas naturale.

Tutto questo, sottolinea Tziarras, ha diminuito di molto l’importanza di Afrodite agli occhi degli investitori.

RIMANE POI IN PIEDI LA VARIABILE IMPAZZITA DELLA TURCHIA, CHE PRETENDE UNA PARTECIPAZIONE IN TUTTI I PROGETTI SUGLI IDROCARBURI NEL MEDITERRANEO ORIENTALE

E poi c’è il problema dei problemi, ossia la Turchia, che come stiamo vedendo in questi giorni ha in atto una strategia di destabilizzazione degli alleati mediterranei al fine di costringerli a venire a patti con Ankara e Cipro Nord per tutto ciò che concerne lo sfruttamento degli idrocarburi del Mediterraneo Orientale.

Per tutti questi motivi, un progetto che appariva promettente solo pochi anni fa potrebbe presto essere accantonato nel disinteresse generale.

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LA CINA SI PREPARA ALLA GUERRA?

Una domanda ha agitato i sonni di chi ha osservato preoccupato lo scontro Usa-Cina di questi ultimi anni: e se alla fine la situazione sfuggisse al controllo e le due superpotenze andassero alla guerra?

Tra chi si è posto questa domanda, e vi ha fornito risposte a ben vedere scoraggianti, è Hu Xijn, direttore del Global Times, la versione in lingua inglese del Quotidiano del Popolo e dunque voce diretta del Partito Comunista Cinese.

Questa settimana Hu ha pubblicato un editoriale particolarmente bellicoso che non lascia speranze a chi ritiene che il confronto tra i due rivali debba rimanere per forza nei binari di uno scontro verbale. Al contrario, con questo articolo Hu ha voluto preparare il popolo cinese a quello che lui considera uno scenario tangibile: la guerra.

“Il popolo cinese non vuole la guerra – è l’incipit dell’editoriale – ma abbiamo delle dispute territoriali con diversi paesi vicini incoraggiati agli Usa ad affrontare la Cina. Alcuni di questi paesi credono che il supporto Usa offra loro la possibilità strategica di trattare oltraggiosamente la Cina. Credono che la Cina, sotto la pressione degli Usa, abbia paura, non abbia voglia o sia incapace di ingaggiare un conflitto militare con loro (…). Si consideri anche che c’è la questione di Taiwan, dove il rischio che la Cina sia costretta ad una guerra è salito bruscamente in tempi recenti”.

Fatta la premessa, Hu salta alla sua inquietante conclusione: “spesso, meno tu vuoi la guerra, e più i dilemmi sopra menzionati diventano prominenti. La società cinese deve pertanto avere il coraggio di impegnarsi con calma in una guerra che miri a proteggere i suoi interessi chiave, ed essere preparata a pagarne i costi”.

Leggendo questo passaggio, si potrebbe concluderne che Hu stia incoraggiando il partito a mettersi in pace con se stesso e a prepararsi ad una guerra con paesi come Vietnam, Filippine, Brunei e Indonesia – quelli con cui ha un contenzioso territoriale sul Mar Cinese Meridionale – naturalmente con il loro protettore americano al loro fianco.

Più avanti, tuttavia, Hu sembra far capire che la necessità della Cina, più che armare i cannoni, sia convincere il prossimo essere terrorizzato da un eventuale conflitto: “La forza complessiva della Cina”, scrive infatti Hu, può effettivamente essere trasformata in un deterrente strategico contro tutti i provocatori.

“Fino a quando il mondo esterno percepirà che simili verità promanano dalla Cina, la guerra potrà essere evitata”.

Considerato che il Global Times è scritto soprattutto per essere letto all’estero, e che Hu è una personalità molto seguita fuori dal suo paese anche grazie al suo account Twitter, possiamo dedurne che la Cina ha voluto trasmettere all’esterno un messaggio di risolutezza e al tempo stesso di timore – sentimenti entrambi giustificati dall’accerchiamento che la Marina Usa sta da tempo compiendo nei confronti della Marina cinese per sottolineare che il Mar Cinese Meridionale e le altre zone sottoposte a contesa sono zone libere per la navigazione e non, come pretenderebbe Pechino, di proprietà di qualcuno. Inclusa Taiwan.

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LA RUSSIA IN LIBIA PERDE DUE AEREI

 Che cosa sta combinando la Russia in Libia. La risposta, leggendo uno degli ultimi numeri di al Monitorè che sta combinando molti guai, soprattutto a se stessa.

È accaduto infatti che giovedì l’Us Africa Command ha reso noto che due aerei attualmente in dotazione ai contractors del Wagner Group si sono schiantati per terra.

Non c’è chiarezza su cosa abbia causato gli incidenti, se un guasto meccanico, un errore dei piloti o altro, ha detto l’Africa Command. Sta di fatto che la notizia è abbastanza fresca, perché il primo Mig-29 si sarebbe schiantato al suolo lo scorso 28 giugno, mentre l’altro ha seguito lo stesso destino lo scorso lunedì

In un video circolato nei social media all’inizio della settimana si vede distintamente un pilota parlare russo appena atterrato nel deserto con un paracadute, prima di essere prelevato con un elicottero Hind dipinto con gli stessi colori dell’Esercito Nazionale Libico di Khalifa Haftar.

Nel video, il pilota afferma di trovarsi a non più di 70 chilometri dall’aeroporto da cui era partito, che però non è stato specificato.

Secondo l’Africa Commmand, la Russia ha schierato in Libia almeno 14 aerei da guerra che sono stazionati nelle basi di Jufra e Khdim.

Il numero di mercenari della Wagner presenti sul campo di battaglia è aumentato di molto negli ultimi mesi: dalle poche centinaia dell’anno scorso si è passati, secondo le stime dell’Onu, ad almeno 3,000 contractors.

La Russia inoltre non ha badato a spese per sostenere e rifornire il suo corpo di spedizione non ufficiale: come ha documentato un servizio Reuters, Mosca ha effettuato 338 voli cargo dalla Siria alla Libia tra il novembre del 2019 e il luglio di quest’anno.

Gli Stati Uniti sono molto nervosi per questa presenza, temendo la penetrazione russa in una zona strategica come la Libia. Per questo motivo negli ultimi tempi Washington ha intensificato la sua azione diplomatica per convincere i belligeranti a trovare un accordo.

Già che c’era, la settimana scorsa l’America ha fatto volare due bombardieri nucleari B-52 nel Mediterraneo meridionale affiancati da jet del Marocco e della Tunisia, in un evidente sfoggio di forza.

Interrogato sul fatto, il portavoce di Africom Christopher Karns ha negato che ci fosse qualche collegamento tra quell’esercitazione e la situazione libica. “Ma se la Russia e la Cina se ne accorgono”, ha aggiunto Karns, “non è una brutta cosa”.

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