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Come si muovono gli Usa tra Europa, Gerusalemme e Siria

Pubblicato il 11/03/2019 - Policy Maker

Il taccuino estero a cura di Marco Orioles

PRIMO PIANO: STATI UNITI

1 – Disgelo con l’Ue

Viene archiviato con un comunicato stampa, e un tweet, un incidente diplomatico che aveva avvelenato i rapporti tra Stati Uniti ed Unione Europea. Come ricorda il New York Times, l’anno scorso l’amministrazione Trump aveva declassato lo status protocollare della rappresentanza diplomatica Ue in America senza notificare alcunché a Bruxelles.

L’episodio si è chiuso il 4 marzo con il cinguettio dell’ambasciatore americano all’Unione, Gordon Sondland che, formulando gli auguri di buon lavoro al nuovo inviato dell’Ue in America, Stavros Lambrinidis, ha annunciato che “gli Stati Uniti riconoscono di nuovo la rappresentanza dell’Ue a Washington come equivalente ad una missione bilaterale”.

Nel comunicato stampa, l’ambasciatore Sondland definisce l’Ue “una organizzazione di importanza unica, e uno dei partner più preziosi dell’America nell’assicurare sicurezza globale e prosperità. Dal generare lavoro e crescita economica, al fissare standard internazionali, al tenere sotto controllo regimi destabilizzanti, gli Stati Uniti e l’Unione Europea – prosegue Sondland – sono forti quando lavorano insieme. La sicurezza e il successo dell’Europa sono legati inestricabilmente a quelli degli Stati Uniti, e questo livello di impegno e cooperazione dovrebbe essere riconosciuto in modo appropriato in tutti gli ambienti”

2 – Chiude il consolato di Gerusalemme

Il consolato americano di Gerusalemme è stato chiuso lunedì, in ottemperanza alla decisione presa dal Dipartimento di Stato nell’ottobre dell’anno scorso di fondere la sede diplomatica con l’ambasciata, creando così “un’unica missione diplomatica”. Una decisione che fu condannata dai palestinesi, già sul piede di guerra per il trasferimento della sede dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme deciso da Donald Trump nel dicembre 2017. D’ora in poi, le relazioni con i palestinesi, come tutto il resto, saranno gestite dall’ambasciata.

3- I piani in Siria per il dopo-Isis

“La riduzione del califfato fisico” – ha affermato il n. 1 del Comando Centrale Usa, gen. Joseph Votel, in un’audizione al Congresso – “è un risultato militare monumentale, ma la lotta contro l’Isis e l’estremismo violento è tutt’altro che conclusa. (…) Avremo bisogno – ha aggiunto Votel –  di mantenere un’offensiva vigilante contro questa organizzazione ora ampiamente dispersa e disaggregata che comprende leader, combattenti, facilitatori, risorse e naturalmente la sua ideologia tossica”.

Il monito del capo del CENTCOM riecheggia nella decisione di Donald Trump di mantenere in Siria almeno quattrocento soldati, che sconfessa l’ormai famoso annuncio presidenziale del dicembre scorso che comunicò il ritiro di tutti i militari da quel fronte. Rispondendo ad una lettera indirizzatagli da un gruppo di parlamentari di entrambi gli schieramenti, The Donald ha detto che ora è d’accordo “al 100%” a lasciare in Siria una presenza pur ridotta di soldati.  “Appoggiamo”, gli avevano scritto deputati e senatori, “una piccola forza di stabilizzazione in Siria”, che dovrebbe includere “un piccolo contingente di truppe americane e di forze di terra dei nostri alleati europei”, “essenziali” per “impedire il ritorno dell’Isis”.

“Concordo al 100%”, risponde Trump: “tutto è stato fatto”. Alla fine di febbraio, la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders aveva dichiarato, senza entrare nel dettaglio, che un “piccolo gruppo di peace keeping di circa 200 uomini rimarrà in Siria per un certo periodo di tempo”. Successivamente, ufficiali dell’esercito avevano fatto sapere che questa forza residuale sarà due volte più grande di quella annunciata da Sanders.

Adesso, per gli Usa, resta la parte difficile: convincere gli alleati a mantenere le loro truppe in Siria o ad inviarne di nuove. Funzionari dell’amministrazione Trump hanno dichiarato al Wall Street Journal che sono in corso colloqui con otto paesi europei, tra cui Francia e Gran Bretagna, per convincerli in tal senso. Il dispiegamento è considerato necessario anche per evitare che si inneschi il paventato scontro tra i curdi delle SDF e l’esercito di Ankara.

Il piano su cui sta lavorando il governo americano prevede che le truppe Usa restino nella città di Manbij, nella Siria settentrionale, e vi conducano pattugliamenti congiunti con i soldati turchi. Un secondo contingente, basato a est della valle dell’Eufrate, implementerebbe la zona cuscinetto che separerebbe i curdi dai turchi. Un terzo gruppo di soldati americani opererebbe nella base di al Tanf, nella Siria meridionale, nel contesto di una campagna militare volta a centrare due obiettivi: impedire la risorgenza dell’Isis e ostacolare le manovre dell’Iran.

4 – Prosegue il negoziato coi “terroristi” talebani

Mentre a Dubai l’inviato della Casa Bianca per l’Afghanistan Zalmay Khalilzad incontrava gli emissari dei talebani per proseguire i colloqui di pace, il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva il suo momento verità. Parlando lunedì con un gruppo di studenti a Des Moines, Iowa, il capo della diplomazia Usa ha detto: “ho un team sul terreno proprio adesso che sta cercando di negoziare con i terroristi talebani”. “Le parole del segretario parlano da sole”, ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato Robert Palladino inseguito dalle domande dei reporter.

5 – Sanzioni al governo dello Zimbabwe

Nuove sanzioni Usa hanno preso di mira i leader del partito al governo nello Zimbabwe, lo Zanu-PF, incluso il presidente Emmerson Mnangagwa, e i capi dell’esercito. Una mossa giustificata dal fatto che le politiche del governo del paese africano pongono una minaccia “inusuale e straordinaria” alla politica estera americana. La Casa Bianca ha reso noto che le sanzioni rimarranno in vigore finché lo Zimbabwe non rimuoverà le restrizioni alla libertà di stampa e di manifestazione.

 


TWEET DELLA SETTIMANA


BREVI DAL MONDO

Libici alle urne entro la fine del 2019. Il presidente del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Serraj, ha dichiarato martedì che entro la fine dell’anno si terranno in Libia elezioni parlamentari e presidenziali. L’annuncio è il frutto dell’intesa raggiunta la settimana precedente ad Abu Dhabi tra Serraj e il generale Khalifa Haftar. Un incontro, quello avvenuto negli Emirati, che Serraj ha definito necessario per “fermare lo spargimento di sangue e trovare una formula per evitare al nostro Paese il conflitto e l’escalation militare” (Voice of America).

Russia fuori dall’Inf. Vladimir Putin ha firmato il decreto che sospende – “fino a quando gli Usa non finiscono le loro violazioni” – gli obblighi della Russia nei riguardi del Trattato Inf, quello firmato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov che mise al bando i missili nucleari basati a terra di corto e medio raggio. Gli Usa, che si sono ritirati a loro volta dal trattato il mese scorso, accusano Mosca di aver sviluppato un missile cruise che viola le disposizioni dell’Inf. La Russia sostiene invece che sono gli americani ad aver violato gli accordi dislocando installazioni missilistiche in Europa orientale. L’ordine di Putin arriva mentre il n. 1 dell’esercito russo, gen. Valery Gerasimov, si incontrava con il suo omologo statunitense, gen. Joseph Dunford, per “colloqui costruttivi” su una vasta serie di temi, incluso il destino dell’Inf. Associated Press

L’Aia richiama l’ambasciatore in Iran. Il governo olandese ha richiamato in patria per consultazioni l’ambasciatore in Iran a seguito della decisione iraniana di espellere due diplomatici dell’Aia in segno di protesta per l’accusa di aver ordito un complotto per assassinare in territorio olandese alcuni oppositori politici della Repubblica Islamica. In una lettera indirizzata al Parlamento, il ministro degli Esteri olandese Stef Blok sostiene di aver detto all’ambasciatore iraniano che le espulsioni sono “inaccettabili” e “negative” per le relazioni bilaterali. Per il ministro, la mossa iraniana è una ritorsione per l’espulsione dall’Olanda, nel giugno 2018, di due addetti dell’ambasciata di Teheran sospettati di essere coinvolti nell’omicidio nei Paesi bassi di due cittadini olandesi-iraniani. Al Jazeera

Espulsione di Fidesz dal PPE? Il Partito Popolare Europeo ha ricevuto una mozione, che sarà messa ai voti il 20 marzo, firmata da dodici partiti membri di nove paesi Ue che chiedono la sospensione o l’espulsione di Fidesz, il partito del primo ministro ungherese Viktor Orban. “Siamo pronti ad un dibattito e a spiegare la nostra posizione”, ha commentato l’ufficio stampa di Fidesz, che aggiunge: “Fidesz non vuole lasciare il PPE, il nostro obiettivo è che le forze anti-immigrazione guadagnino forza entro il PPE”. Il candidato dei popolari europei alla guida della prossima Commissione UE, Manfred Weber, ha presentato a Fidesz una serie di condizioni per evitare l’espulsione, a partire dalla cessazione della campagna di propaganda che ritrae l’attuale presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, in combutta con il magnate di origine magiara George Soros per fomentare un’invasione di migranti in Europa. Secondo un sondaggio Zavecz Research, Fidesz godeva a febbraio del 32% dei consensi tra gli elettori ungheresi, dato invariato rispetto a gennaio. Reuters

L’abbraccio Etiopia-Eritrea-Sud Sudan. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il presidente Isaias Afwerki sono partiti insieme lunedì da Asmara per tenere con il presidente del Sud Sudan Salva Kiir dei colloqui finalizzati a rafforzare le relazioni a tutti i livelli tra i tre paesi africani. Sudan Tribune, Africa News

 


IPSE DIXIT: EMMANUEL MACRON

“Cittadini d’Europa, se prendo la libertà di rivolgermi direttamente a voi, non è solo in nome della storia e dei valori che ci riuniscono. È perché è urgente. Tra qualche settimana, le elezioni europee saranno decisive per il futuro del nostro continente.. Mai dalla Seconda guerra mondiale, l’Europa è stata così necessaria. Eppure, mai l’Europa è stata tanto in pericolo”.

 

Dal manifesto elettorale del presidente francese per le prossime Europee pubblicato sui quotidiani dei 27 paesi membri Ue.

 


SEGNALAZIONI

“Yulia Tymoshenko è stata due volte primo ministro dell’Ucraina, il volto globale di una rivoluzione, imprigionata da due diversi presidenti, e l’obiettivo di una operazione per screditarla condotta dall’ex manager della campagna elettorale del presidente Donald Trump”. L’intervista a Reuters della candidata alle elezioni presidenziali in programma a fine mese in Ucraina.

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“L’Algeria sull’orlo del baratro?”: il “Policy Alert” del Washington Institute firmato da Sarah Feuer.

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“La scacchiera del Siraq: chi conduce il gioco?”: da leggere il dossier Ispi a cura di Chiara Lovotti.

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“I colloqui di pace degli Usa coi talebani glissano su una grande questione: cos’è terrorismo?”: l’articolo di Mujib Mashal sul New York Times.
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