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Così Serracchiani accetta un diktat integralista

Pubblicato il 12/01/2016 - Messaggero Veneto

La presidente Serracchiani vola a Teheran per fare affari con la Repubblica islamica dell’Iran. Fa bene? Certo, ma non dovrebbe né sorridere né tanto meno velarsi. Se le logiche commerciali e la realpolitik suggeriscono l’apertura nei confronti del Paese governato dagli ayatollah, la nostra identità civile, liberale e democratica, impone la massima severità nei confronti di un regime che rappresenta l’antitesi di quanto rappresentiamo. L’Iran, in fin dei conti, è ancora la tomba dei diritti umani, il cimitero delle libertà e un ostacolo alla pace in Medio Oriente. L’accordo siglato con l’Iran quest’estate con la partecipazione dell’Europa ha erroneamente suggerito che i problemi generati dal fanatismo sciita – corsa al nucleare inclusa – possano essere superati con la cooperazione in ambito economico, politico e militare. Un approccio fortemente voluto da Obama ma sbagliato alla radice. Non solo perché l’intesa raggiunta non ha risolto il problema dell’atomica iraniana, semplicemente rinviato di dieci anni. Ma perché il regime non ha ceduto di un millimetro sulla sua condotta irresponsabile verso il proprio popolo e quelli vicini. Incrementare il giro d’affari della Repubblica islamica significa dunque rafforzarne le attitudini prevaricatrici, ben impresse nel chador imposto obbligatoriamente alle proprie donne. L’esponente politico occidentale di sesso femminile che si presenta in Iran col velo sul capo non sta onorando una tradizione: sta ratificando un diktat fondamentalista fattosi politica di Stato. Non è dunque un gesto degno di un rappresentante di un popolo, quello europeo, che l’ingerenza religiosa nella sfera pubblica l’ha rigettata parecchio tempo addietro. Qualcuno potrebbe pensare che la Serracchiani abbia dovuto soccombere ai rigidi protocolli diplomatici iraniani. È vero: la città di Udine ricorda bene cosa significhi intrattenersi con i politici della Repubblica islamica. Quando l’ex presidente iraniano Khatami fu invitato nel capoluogo friulano nel 2007, la sua visita si trasformò presto in una farsa. Palazzo Torriani, dove Khatami incontrò il gotha degli industriali, dovette coprire le statue discinte. Peggio, le pressioni dello staff di Khatami fecero sì che la partecipazione di Giannola Nonino fosse silenziosamente cancellata. Il peccato della Nonino? Essere donna e produttrice di grappa. Il veto iraniano fu però nulla a confronto dell’atteggiamento accomodante dei nostri capitani d’industria. Per questo si levò alta la voce di un friulano illustre, Carlo Sgorlon, che definì inaccettabile il comportamento di entrambe le parti. Il passaggio di Khatami si concluse con un gustoso colpo di scena: al termine della sua conferenza nella ex Chiesa di San Francesco, il leader straniero strinse le mani ad alcune donne del pubblico. Un atto proibito secondo la legge coranica in vigore in Iran che fu immediatamente censurato dai esponenti conservatori e provocò persino manifestazioni di piazza al grido di “Morte a Khatami”. Solo chi non conosce la realtà sociale che ribolle dietro la cappa del regime può però farsi ingannare da questo episodio. I giovani iraniani si tuffarono su internet per ringraziare il loro ex presidente per quel gesto che assunse il valore di una speranza. Ecco, l’Occidente ha il dovere di tenere viva la speranza del popolo iraniano in una trasformazione del regime. Indossando il velo obbligatorio, e sorridendo ai lapidatori delle donne, i nostri politici tradiscono questa gente, oltre che la nostra.

IranMessaggero VenetoSerracchiani Debora
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