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Così il caso Gerusalemme ha diviso le Nazioni Unite

Pubblicato il 22/12/2017 - Formiche

GERUGERUome capitale di Israele e di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv alla Città Santa. Contro l’inquilino della Casa Bianca si sono schierati i principali paesi europei ed alleati di Washington come Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e anche l’Italia. Votano compatti i paesi islamici, mobilitati da un formale alleato Usa come Ankara che conferma una volta di più il suo allontanamento da Washington.

A nulla è valso il monito di Trump di mercoledì, quando aveva minacciato di tagliare gli aiuti americani alle nazioni che avessero votato a favore. Egitto, Giordania, Iraq e Afghanistan, principali beneficiari della munificenza americana, non si sono piegati a quello che il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ha definito il “bullismo” del capo della Casa Bianca. Gli unici ad allinearsi agli Usa, votando no, sono stati Guatemala, Honduras, Togo, Isole Marshall, Micronesia, Nauru e Palau. Ma nel novero di chi ha preferito non irritare The Donald bisogna aggiungere i 35 paesi che si sono astenuti. Tra questi ci sono membri dell’Ue come Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Croazia, Lettonia, che ritengono opportuno privilegiare le relazioni con Washington a quelle con una Bruxelles di cui non condividono molte politiche. Identica la posizione dei membri del Nafta, Canada e Messico, che preferiscono non compromettere il complicato processo di rinegoziazione del patto commerciale con gli Usa su cui Trump ha molto insistito.

Non si è presentata in aula invece l’Ucraina, che l’altro ieri ha ricevuto un prezioso regalo da Washington, il via libera alla vendita di armi “letali” americane con cui contrastare l’aggressione russa alle province orientali. Nemmeno Zambia e Kenia hanno partecipato al voto.

L’America incassa la sconfitta in piedi, reiterando la propria posizione. La combattiva ambasciatrice all’Onu Nikki Haley ritiene “nullo e vuoto” il voto dell’Assemblea. “L’America metterà la sua ambasciata a Gerusalemme. Questo è ciò che il popolo americano vuole che facciamo. Ed è la cosa giusta da fare. Nessun voto alle Nazioni Unite farà alcuna differenza su questo”. Haley rinnova quindi le minacce del suo capo, indirizzandole anche all’organizzazione che ha osato contestare la sua decisione “sovrana”: gli Stati Uniti, tuona, “si ricorderanno di questo giorno… Ci ricorderemo di questo quando ci sarà richiesto un’altra volta di fornire il più grande contributo al mondo alle Nazioni Unite… E ci ricorderemo quando molti paesi ci chiedono, come fanno spesso, di pagare ancora di più e di usare la nostra influenza a loro vantaggio”.

La Waterloo americana su Gerusalemme fa esultare invece il portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, che parla di “vittoria per la Palestina”. “Continueremo il nostro sforzo alle Nazioni unite e in tutti i forum internazionali per mettere fine a quest’occupazione e per creare il nostro Stato palestinese con Gerusalemme est come sua capitale”. L’ambasciatore palestinese Riyad H. Mansour, dal canto suo, è sollevato dal fatto che buona parte dei paesi del mondo non si sono piegati all’intimidazione americana, fatta di “tattiche senza precedenti, mai sentite nel mondo diplomatico dell’Onu, inclusi ricatto ed estorsione, che secondo la mia opinione hanno offeso l’intera comunità internazionale”.

Chi non nasconde la propria ira, invece, è Israele. Il suo inviato all’Onu, Danny Danon, si era sfogato in aula prima delle operazioni di voto, definendo i sostenitori della risoluzione “burattini manovrati dai maestri burattinai palestinesi”. “Non ho dubbi”, ha concluso Danon, “che la risoluzione di oggi finirà nel cestino della storia”. A voto consumato, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ricorre a Facebook per rigettare “questa risoluzione pretestuosa. Gerusalemme è la nostra capitale. È sempre stata, e lo sarà sempre”.

Netanyahu sa, d’altro canto, che la risoluzione approvata ieri non ha valore vincolante né ha lo stesso peso di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, dove martedì un’analoga proposta presentata dall’Egitto si era infranta contro il veto americano. Per l’ennesima volta nella storia, Israele fa affidamento sulla risolutezza degli Stati Uniti, con i quali sfidano il consenso generale a loro ostile. Niente di nuovo sul fronte dell’Onu.

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