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I bengalesi di Monfalcone e quello stop alla convivenza

Pubblicato il 09/05/2018 - Il Piccolo

In punta di diritto, e con un colpo di spugna amministrativo, l’amministrazione comunale di Monfalcone pone fine, almeno temporaneamente, al sogno della locale comunità islamica di avere una moschea ampia e attrezzata. L’associazione Baitus Salat aveva rilevato lo scorso giugno, scucendo i soldi di tasca propria, i locali di un supermercato per realizzarvi la sede di un centro culturale che, com’è norma in queste circostanze, sarebbe stato adibito anche al culto. Ma il Comune di Monfalcone ha individuato un cavillo – la zona in cui sorge l’edificio è sismica, e i lavori di ristrutturazione avrebbero richiesto un’apposita documentazione – e ha dato lo stop ai lavori. Niente più moschea dunque per i musulmani di Monfalcone. Che, come sappiamo, non sono pochi. Sono una comunità di centinaia di famiglie che in questi ultimi due decenni hanno rivitalizzato la città, conferendole un’amena identità multiculturale e multireligiosa, per non parlare del contributo che gli abili al lavoro hanno dato al tessuto produttivo. Come insegna la storia degli insediamenti islamici nel Vecchio Continente dal dopoguerra ad oggi, una comunità, una volta inserita nel contesto sociale di arrivo, soddisfatti i bisogni essenziali, si organizza per prendere in affitto un immobile da adibire a luogo di culto. Questo per soddisfare le esigenze spirituali e comunitarie del gruppo, abituato a vedere in una moschea il luogo in cui aggregarsi in nome della comune appartenenza religiosa e culturale. Spesso, la scelta del luogo ricade su una struttura fatiscente, riattata quel tanto che basta per conferirle un minimo di decoro: un opificio in disuso, un’officina, un negozio. Questo è quanto possono permettersi degli immigrati che svolgono mestieri umili e possono destinare all’affitto della sede comune una minima quota dei propri risparmi. Quando la comunità cresce, e il numero di chi può contribuire al bene comune aumenta, scatta naturalmente l’aspirazione a reperire, e possibilmente acquistare, un immobile più ampio. A Udine, la scelta dei musulmani udinesi è ricaduta nella sede di un ex concessionario di auto. A Pordenone, nei locali di una fabbrica. A Monfalcone, l’associazione Baitus Salat aveva individuato come detto una struttura sufficientemente ampia per soddisfare tutte le esigenze associative, che non sono poche. Oltre al culto, c’è da pensare all’aiuto alle famiglie bisognose, ai corsi di lingua, alla formazione religiosa delle nuove generazioni, alle attività per i gruppi femminili. Sono tutte esigenze fortemente avvertite dai musulmani, che non vivono certo di solo lavoro o televisione. Disporre di un luogo per adempiere alle funzioni comunitarie è un diritto sacrosanto che l’amministrazione comunale avrebbe il dovere di sostenere con opportune azioni di affiancamento, e non certo con un boicottaggio, ancorché formalmente corretto. L’esigenza di città come Monfalcone oggi è promuovere l’armonia tra le varie componenti della società, caratterizzate da una marcata diversità sotto il profilo etnico, culturale e religioso. Il Comune ha il dovere di essere protagonista di questo processo, con opportune iniziative, investimenti e soprattutto con una politica di apertura che i nostri concittadini di fede diversa meritano alla luce del contributo che offrono alla vita sociale, culturale ed economica della città. Nel caso di Monfalcone, questa esigenza è resa ancor più urgente dai numeri consistenti che la comunità bengalese ha acquisito nel corso del tempo. I bengalesi di Monfalcone sono ormai una componente visibile e ben organizzata della città. Per la loro vivacità, hanno più volte attirato l’attenzione delle cronache nazionali, interessate a raccontare un esperimento unico che sta avendo vita nel cuore del Friuli Venezia Giulia. A questo esperimento, la sindaca Anna Maria Cisint dovrebbe essere sommamente interessata, essendo lei il sindaco di tutti i cittadini di Monfalcone. Il primo cittadino avrebbe il dovere a questo punto di convocare i vertici dell’associazione Baitus Salat insieme agli organi tecnici del Comune e individuare una soluzione. Si tratta di prendere una decisione per il bene di una parte consistente della popolazione di Monfalcone, che non può essere abbandonata in questo modo.

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