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La Palestina all’Onu fa molto rumore ma si sfila dal confronto

Pubblicato il 21/02/2018 - Formiche

Tra gli scranni del Palazzo di Vetro ieri, insieme all’ambasciatrice Usa Nikki Haley, c’erano anche loro: Jared Kushner, consigliere e genero del presidente Donald Trump, e Jason Greenblat, inviato del presidente per il processo di pace in Terra Santa. Sono gli uomini che da un anno circa stanno lavorando al cosiddetto “ultimate deal” che il capo della Casa Bianca ha promesso di sfornare per risolvere la più lunga controversia territoriale dei nostri tempi. Ma la loro presenza non ha impressionato il presidente palestinese Mahmoud Abbas, che ha preferito pronunciare un breve discorso e poi abbandonare l’aula, senza nemmeno ascoltare le repliche degli americani.

“Ho incontrato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, quattro volte nel 2017, e ho espresso la mia assoluta prontezza a raggiungere uno storico accordo di pace”, ha detto Abbas. “Ma questa amministrazione non ha chiarito la sua posizione. È per una soluzione a due Stati o a uno Stato solo?”.

La posizione di Abbas sul negoziato di pace si è ormai consolidata da quel fatidico 6 dicembre scorso, giorno in cui Donald Trump si presentò davanti alle telecamere e annunciò di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Nel volgere di pochi minuti, il presidente americano aveva rivoltato come un calzino l’approccio alla questione israelo-palestinese elaborato negli anni dalla comunità internazionale, fornendo ad Israele una concessione unilaterale che è stata interpretata come una violazione della legge internazionale e ha provocato pure due voti alle Nazioni Unite, con numeri plebiscitari contro gli Stati Uniti.

Da allora, il vecchio presidente palestinese è alla ricerca di soluzioni alternative alla mediazione americana, che dice di rifiutare alla luce delle manifeste prove di parzialità degli Stati Uniti. Negli ultimi tempi, ad ogni occasione che gli si presenta, illustra la sua soluzione: internazionalizzare il negoziato, facendo sì che gli Stati Uniti siano un mediatore tra altri. Il formato prediletto da Abbas comprenderebbe, oltre a Israele e Palestina, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e numerosi altri rappresentanti di grandi e medie potenze sulla scorta di quanto fatto alla conferenza di pace di Parigi voluta dall’ex presidente francese François Hollande nel gennaio 2017 a cui parteciparono 74 paesi. “È diventato impossibile”, ha spiegato Abbas, “oggi per un paese da solo risolvere un conflitto regionale o internazionale senza la partecipazione di altri partner internazionali”.

Ecco dunque Abbas presentare al Consiglio di Sicurezza il suo “piano di pace”. Prevede il mutuo riconoscimento degli Stati di Israele e Palestina sulla base dei confini del 1967, e la formazione di – precisa Abbas – “un meccanismo internazionale multilaterale che sia l’emanazione di una conferenza internazionale”. Tale dispositivo assisterebbe le due parti nella risoluzione di tutti i temi finali e li implementerebbe “entro un tempo stabilito”. Solo così, ha sottolineato Abbas, possiamo sperare di “trovare una via d’uscita dallo scacco matto e dalla crisi in cui ci ritroviamo”.

Prima di concludere il suo discorso, Abbas non ha mancato di ricordare agli Stati Uniti le conseguenze della sua decisione, per ora ancora al vaglio dell’amministrazione, di tagliare i fondi all’UNRWA, l’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi. “Se terminate la vostra assistenza diventeranno terroristi o rifugiati in Europa”, ha detto Abbas.

Concluse le sue parole, Abbas ha abbandonato la sala del Consiglio, impedendo una diretta replica all’ambasciatrice americana Haley. Che ha comunque ricordato come gli Stati Uniti “siano pronti a lavorare con la leadership palestinese” e che i due uomini presenti con lei al Palazzo di Vetro, Kushner e Greenblat, “sono pronti a parlare”. Quella americana è una “mano tesa al popolo palestinese e ai suoi leader ”, ha precisato Haley. “Ma non vi inseguiremo”, ha aggiunto, facendo capire che la pazienza degli Stati Uniti è limitata.

“La scelta è sua, presidente”, ha detto Haley, rivolgendosi ad un Abbas ormai assente. “La leadership palestinese ha davanti a sé due strade: c’è quella delle richieste assolutistiche, della retorica dell’odio, e dell’incitamento alla violenza”. Una strada senza uscita, fa capire la Haley. E c’è poi il percorso che l’amministrazione Trump preferirebbe: “Negoziato e compromesso”. “La storia”, ha aggiunto l’ambasciatrice, “ha mostrato che questo percorso ha avuto successo nel caso di Egitto e Giordania, compreso il trasferimento di territori. Questa strada rimane aperta alla leadership palestinese, se solo avesse il coraggio di intraprenderla”.

La mancata partecipazione di Abbas al dialogo con Haley ha suscitato commenti sferzanti da parte israeliana. L’ambasciatore all’ONU Danny Danon ha accusato il presidente palestinese di “scappare via un’altra volta”, aggiungendo che è da 7 anni e mezzo che si rifiuta di incontrare il premier israeliano Benjamin Netanyahu per “negoziare la pace”. “Sig. Abbas”, ha aggiunto Danon, “lei ha chiarito con le sue parole e con le sue azioni che non è più parte della soluzione. Lei è il problema”.

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