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Migranti, quattro notizie per uno scenario europeo

Pubblicato il 25/09/2017 - Il Piccolo

Quattro notizie fresche riportano in primo piano la questione migranti. C’è anzitutto l’annuncio del Ministero dell’Interno della prossima chiusura del Cara di Gradisca e della concomitante apertura di un Centro permanente per il rimpatrio. Poi, l’approdo al Porto Nuovo di Trieste di cinque migranti irregolari in arrivo dalla Turchia. L’arresto a Fernetti, quindi, di un passeur sloveno che trasportava a bordo del suo taxi quattro cittadini afghani. Infine, la più inquietante scoperta che l’autore del recente attentato a Londra, un profugo di nazionalità irachena, era transitato da Trieste due anni fa, all’epoca dell’impetuosa ondata migratoria dal Medio Oriente. Pur non essendo collegate tra loro, le quattro notizie ci pongono di nuovo di fronte ad una questione che preme sulle agende dell’Unione Europea, del nostro governo e di tutte le amministrazioni locali: la gestione dei flussi migratori, dell’accoglienza e dei problemi che un fenomeno vasto e complesso come l’immigrazione straniera reca con sé. L’entrata in scena del Cpr di Gradisca è il segnale del nuovo approccio di Roma, che con il decreto Minniti ha deciso di coniugare da un lato la solidarietà verso chi fugge da guerre e condizioni insostenibili e, dall’altro, la fermezza nei riguardi di chi non ha i requisiti per rimanere in Italia. Una politica del doppio binario che fonde realismo e tutela dei diritti umani in un approccio che, grazie alla tenacia del governo, sarà ora fatto proprio dalle istituzioni comunitarie, un tempo sorde ai richiami di Roma. Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha annunciato che una delle priorità dell’Europa sarà chiudere la stagione della passività nei confronti dell’immigrazione – che ha scaricato il problema sulle spalle dei Paesi come Italia e Grecia condannati dalla geografia ad essere in prima linea – varando una serie di misure tra le quali spicca l’apertura di canali regolari di ingresso per coloro che ambiscono a rifarsi una vita nel Vecchio Continente. Una decisione di vasta portata che va letta in abbinamento a quella, parimenti significativa, presa qualche settimana fa dalla Corte di Giustizia Ue, che ha bocciato il ricorso dell’Ungheria che si rifiutava di aprire le porte ai ricollocamenti dei migranti. La redistribuzione dei nuovi arrivati è dunque destinata a diventare uno dei pilastri delle politiche comunitarie, notizia che deve essere letta con sollievo da chi, come l’Italia, si è trovata in questi anni da sola ad affrontare la sfida delle migrazioni. La maturità dell’Europa è dimostrata anche dal coraggioso vertice di Parigi, durante il quale i quattro principali Paesi membri – Germania, Francia, Italia e Spagna – hanno elaborato un approccio comune per affrontare l’emergenza da Sud, vale a dire il canale del Mediterraneo centrale che ha fatto affluire nella nostra penisola centinaia di migliaia di disperati. È auspicabile, a questo punto, che questo formato negoziale si faccia carico anche di un problema che sembrava essere stato risolto dall’accordo stretto nel 2016 con la Turchia: la rotta balcanica. Itinerario che grazie ai sei miliardi di euro versati da Bruxelles ad Ankara è stato sigillato ma, come dimostrano gli episodi triestini di queste ore, potrebbe riaprirsi in qualsiasi momento. E che è peraltro esposto alle incertezze delle relazioni conflittuali che l’Unione Europea nutre con il governo autoritario del presidente turco Erdogan. Insomma, se i problemi permangono, tutto sembra mostrare che con una robusta dose di visione e coraggio, le istituzioni europee sono in grado di individuare soluzioni. Lo stesso non può dirsi purtroppo per il tema più spinoso: il terrorismo. Il deflagrare nella metropolitana di Londra di un ordigno piazzato presumibilmente dal profugo transitato per Trieste non ha causato una strage solo per una combinazione di fortuna e improvvisazione. L’episodio è la dimostrazione che la minaccia jihadista incombe sulle nostre città. Misure come la legge per la prevenzione della radicalizzazione promossa dal deputato Stefano Dambruoso possono contribuire significativamente alla riduzione del danno, ma non eliminarlo del tutto.

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