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Nelle mani dei Popolari la patata bollente dei sovranisti

Pubblicato il 09/09/2018 - GNN

Con la partita per le elezioni europee del maggio 2019 già aperta, le forze politiche del Vecchio Continente compiono le prime manovre per non rimanere spiazzate di fronte ai venti impetuosi del sovran-populismo. La mossa più significativa si è compiuta in Germania, dove il capogruppo del Ppe al Parlamento di Strasburgo, il tedesco Manfred Weber, ha annunciato – con il placet della cancelliera Merkel – la sua candidatura alla guida della Commissione Europea. Non si tratta solo di un’Opa della locomotiva d’Europa sulla macchina comunitaria, di cui ambisce a prendere in mano le redini. Né, esclusivamente, del tentativo della famiglia popolare di mantenere il controllo dell’esecutivo dell’Unione dopo il quinquennio di Jean-Claude Juncker. Weber è uno dei colonnelli del partito cristiano-sociale bavarese, fratello dei cristiano-democratici della Merkel. Un’alleanza storica che quest’estate stava per incrinarsi a causa della ribellione sulla questione migranti del ministro degli interni ed esponente Csu Horst Seehofer, deciso a smantellare quel che resta della Wilkommenkultur della cancelliera. Facile immaginare, perciò, che la candidatura di Weber preluda ad analoghi subbugli in seno al Ppe. Il capogruppo dei popolari al Parlamento Europeo potrebbe cioé rappresentare il veicolo di un’orbanizzazione del Ppe. Il quale, dinanzi all’impetuosa avanzata delle forze sovraniste in tutto il continente, opterebbe per fagocitarne gli esponenti più presentabili anziché rischiare un muro contro muro dagli esiti incerti. Il Fidesz di Orbán, d’altro canto, è già membro del Ppe, e pare difficile, vista la prospettiva di un calo dei consensi per i popolari, immaginarne un’ estromissione. Segnali di identico tenore possono essere ravvisati anche in Italia. Dove la Lega di Salvini, incoronata dai sondaggi come primo partito, lotta tra due tentazioni di segno opposto: coagulare intorno a sé i partiti sovranisti d’Europa, costruendo una lista comune da presentare in tutte le circoscrizioni elettorali del continente, o rientrare nei ranghi di un partito unico del centro-destra, di cui assumere la guida, con l’aspirazione ad essere ammesso a Strasburgo nelle fila del Ppe. Se ci si ferma alle apparenze, ovverosia alle dichiarazioni programmatiche e alle azioni drastiche compiute in tre mesi di governo, la scelta di Salvini sembrerebbe essere obbligata. Venerdì, d’altra parte, Salvini ha incontrato a Roma Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump e apprendista stregone del populismo, accettando l’ingresso della Lega nella creatura internazionalista – The Movement – che Bannon sta forgiando per federare le forze anti-sistema europee. Il dilemma cui Salvini si trova di fronte è semplice: guidare a Strasburgo un gruppo robusto ma non maggioritario che potrebbe creare scompiglio nei palazzi comunitari, senza però incidere granché sulle decisioni dell’Unione; o farsi ammettere, proprio come Orbán, nel consesso di una famiglia rispettabile in preda ad una grave crisi esistenziale. La patata bollente, ora, è nelle mani del Ppe. Che nelle prossime settimane dovrà decidere se incarnare la resistenza alla sovversione sovran-populista o tentare di domarla aprendole le porte.

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