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Niente laurea agli stranieri: a loro formazione, a noi liceo

Pubblicato il 09/11/2014 - Ponte di Ferro

Un rapporto fresco di stampa del ministero dell’Istruzione (non più “pubblica”, ma questa è un’altra storia) conferma una tendenza consolidata: l’orientamento dei ragazzi stranieri – la seconda generazione degli immigrati, la G2 – verso la formazione tecnica e professionale a scapito delle iscrizioni ai licei che, prediletti dai cosiddetti nativi, sono propedeutici alla prosecuzioni degli studi. La si definisce “segregazione formativa”, ed è ascrivibile a variabili economiche: prevale, nei giovani stranieri (seppure possano ancora essere chiamati così…), la scelta di procacciarsi quanto prima un reddito con cui contribuire al magro bilancio familiare.

Di fatto – sottolinea il sociologo Marco Orioles, Università di Udine e Verona – le traiettorie di autoctoni e stranieri si biforcano, con i primi che assumono le professionalità più consone all’odierna società della conoscenza, e i secondi che ne occupano i margini. E se si osserva la situazione nel mercato del lavoro, nelle officine e in certi rami del commercio, se ne ha la conferma plateale. Di più: le indagini segnalano una canalizzazione della G2 negli stessi lavori poco qualificati svolti dai loro genitori, quelli delle “cinque P”: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente. Insomma, è come se la condizione di immigrato si perpetuasse, attivando una trasmissione intergenerazionale della subalternità.

Attenzione, ora. La presenza straniera si è quadruplicata dall’inizio di questo secolo, in meno di quindici anni e, secondo le proiezioni dell’Istat, è destinata a raggiungere una ragguardevole quota: dieci milioni. In questo contesto, la seconda generazione d’immigrati (quella che statisticamente è appunto definita la G2) costituisce una fascia di popolazione, oramai quasi tutta integrata, che ha già superato il milione di unità e rappresenta il 9% degli alunni delle nostre scuole di primo livello.
Con il risultato che, a fronte di un a buona integrazione dal punto di vista culturale (ciò che giustamente ha fatto parlare dell’avvento dei “nuovi italiani”), permangono soprattutto le due criticità cui abbiamo già accennato: scuola e mercato del lavoro. Ora, su questi due fronti la situazione italiana non è dissimile da quella di paesi come Francia, Germania e Regno Unito dove l’immigrazione è ancor maggiore che da noi. La certificazione di questo dato sta in un rapporto Eurostat (l’Istat dell’Ue): la G2 in Europa è piagata da sofferenze proprio sul piano educativo e occupazionale. Certo, c’è in Italia un miglioramento della situazione, ma restano difficoltà linguistiche, ripetenze, abbandoni che producono un divario (spesso vistoso) tra alunni stranieri e alunni italiani. Che si manifesta anche e soprattutto su un piano delicato: la scelta della scuola secondaria di secondo grado.

La conclusione non è confortante: in assenza di opportunità di mobilità e promozione sociale si prospetta così – osserva con giusta preoccupazione il prof. Orioles – uno scenario di crescente balcanizzazione che non costituisce l’ottimale debutto per la società multietnica italiana.

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