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Quelle scritte mussoliniane rimaste ancora lì

Pubblicato il 02/01/2022 - Messaggero Veneto

I muri non parlano, si dice di solito, ma non è vero. In Friuli Venezia Giulia alcuni muri continuano a trasmettere messaggi di una lingua del passato: la lingua del fascismo. La scritta murale contenente le frasi lapidarie di Benito Mussolini è stata una tecnica di comunicazione usata a tappeto dal regime come efficacissimo strumento di propaganda politica finalizzata all’indottrinamento di massa degli italiani. Sebbene si trattasse di una tecnica rudimentale, se comparata ai media in voga all’epoca come la radio e il cinema, essa aveva il vantaggio di garantire con un investimento minimo la capillare diffusione del pensiero del Duce sin nel più sperduto villaggio. La scritta murale rientra dunque a pieno titolo nell’armamentario comunicativo del regime ed è espressione di un più vasto fenomeno che interessò l’Italia del Ventennio: il culto del Duce e della sua parola sferzante. Zelanti funzionari di partito si preoccupavano di estrapolare dal corpus degli scritti e discorsi di Mussolini una serie di slogan compilando vere e proprie raccolte da cui si poteva attingere per incorniciare nella facciata di un edificio pubblico o privato una massima, un motto, o una sentenza più articolata ma sempre capace di veicolare in pillole il verbo del capo supremo. Nonostante siano passati tre quarti di secolo dalla caduta del fascismo, alcuni esemplari di graffiti hanno retto all’urto del tempo e sono tuttora visibili agli occhi dei passanti. In molti casi di tali scritte sono riemerse a distanza di tempo a causa del deterioramento del manto di vernice con cui erano state occultate dopo la Liberazione. Sebbene nella maggior parte dei casi non siano nitidamente leggibili, l’occhio allenato riesce comunque a intravedere la sequenza di parole a volte accompagnate dalla firma stilizzata di Mussolini e dal disegno di un fascio littorio. L’esempio forse più eclatante di scritta sopravvissuta si trova a Udine lungo via Cividale dove, sulla facciata di un edificio, campeggia a caratteri cubitali la formula binaria “Roma Doma”,  uno slogan che richiama il tema delle ambizioni imperialiste del fascismo maturo. Questo argomento ritorna in modo più esplicito nella scritta “Impero” a tutt’oggi visibile sulla parete di un edificio rurale che sorge non lontano da Mereto di Tomba. L’ossessione del fascismo per il militarismo e la grandeur traspare anche dalla scritta ormai quasi illeggibile presente sul muro di una casa di Sanguarzo: “L’Italia è oggi una potenza mondiale”. Identiche sono le premesse di una delle massime più famose e replicate del capo del fascismo presente sulla facciata di una abitazione privata nel comune di San Leonardo: ”È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende”, un testo da cui emerge anche un altro tópos centrale del regime: la retorica della ruralità. Le campagne propagandistiche per la promozione dei valori del mondo rurale, emblema dell’imperativo autarchico, trovano poi una testimonianza in una scritta ancora individuabile nel comune di Mereto di Tomba: “Bisogna dare la massima fecondità ad ogni zolla di terra”. Il fascismo, come è noto, aveva una predilezione per le cosiddette parole d’ordine. In Friuli se ne sono conservate almeno due tracce: a Cividale del Friuli, sulla facciata di un edificio non lontano dalla vecchia Stazione ferroviaria, se ne legge una delle più famose, tratta da un discorso che Mussolini ma che tuttavia non è farina del suo sacco, perché a coniarla era stato Nietzsche: “La parola d’ordine del  fascismo: vivere pericolosamente”. Tristemente nota è anche la parola d’ordine che fu preludio delle disfatte belliche italiane: “Vincere” pronunciata da Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia il 10 giugno 1940 all’atto di formulare la dichiarazione  di guerra a Francia e Gran Bretagna. La scritta in questione si trova a Sedegliano in cima ad un enorme volto del duce con elmetto, peraltro replicato in altre case dello stesso comune in diverse dimensioni secondo un modello evidentemente preconfezionato. Ma il temperamento di Mussolini così come le inclinazioni ideologiche del movimento da lui fondato traspaiono con ancor maggiore nettezza in un altro celebre motto, “Chi si ferma è perduto”, ben visibile lungo la statale sulla facciata di un edificio di S. Stefano Udinese. Resta aperto un interrogativo: che fare con queste tracce superstiti di un passato ingombrante? La spinta a cancellarle in nome dei valori antifascisti della Repubblica confligge con la visione di chi considera i graffiti alla stregua di un documento storico che può essere preservato. La scelta al momento è affidata alla sensibilità dei singoli proprietari degli immobili.

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