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Tutte le rinnovate sintonie fra Turchia e Qatar

Pubblicato il 12/07/2020 - Start Magazine

Che cosa cela la recente visita di Erdogan in Qatar

Per la sua prima visita all’estero dopo la pandemia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha scelto il suo alleato di ferro: il Qatar.

Accompagnato dal ministro del Tesoro e delle Finanze, Berat Albayrak, dal ministro della Difesa nazionale Hulusi Akar, dal responsabile dell’intelligence, Hakan Fidan, dal capo della comunicazione Fahrettin Altun e dal portavoce presidenziale Ibrahim Kalin, Erdogan ha messo piede venerdì della scorsa settimana nel Paese più problematico del Golfo dove ha incontrato l’emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani.

Secondo un comunicato della presidenza turca, al centro delle discussioni ci sono state relazioni bilaterali tra due paesi che si definiscono “fratelli e amici e un giro d’opinioni sulle questioni regionali e internazionali.

D’altra parte, come ricorda un lungo paper del Besa Center scritto in occasione del viaggio in Qatar di Erdogan, è almeno dal 2014 che Turchia e Qatar sono entrate in una relazione strategica. In quell’anno infatti i due paesi hanno firmato un accordo sulla sicurezza che concede ad Ankara una base nell’emirato, dove oggi stazionano – non lontano dalla mega base Usa di al-Udeid – circa 3 mila militari turchi e una varietà di unità navali ed aeree.

Il momento della gratitudine per Ankara è arrivato tre anni dopo, quando è scoppiata la crisi interna al Consiglio di Cooperazione del Golfo che ha portato all’isolamento e al boicottaggio del Qatar da parte delle altre potenze del Golfo.

In quell’occasione, mentre l’emirato era accerchiato in un inquietante embargo, Erdogan venne in soccorso del suo amico emiro trasferendo numerosi cargo e aerei carichi di cibo e beni essenziali. Fece inoltre il gesto plateale di rafforzare il dispositivo militare turco in Qatar, in un avvertimento tutt’altro che velato alle potenze del Golfo.

Quel gesto fu ripagato con gli interessi nel 2018 in uno dei momenti più difficili passati dalla Turchia negli anni recenti: erano i giorni delle sanzioni americane, che fecero calare del 40% la quotazione della lira, in una situazione cui pose rimedio l’emiro investendo seduta stante 15 miliardi di dollari nelle banche e nel mercato finanziario turchi.

Poco dopo, inoltre, l’emiro decise di cementare l’amicizia col Sultano con un prezioso dono: un esemplare di Boeing 747-8, il jet privato più grande e costoso del mondo dal valore di 400 milioni di dollari.

Arrivò quindi, ricorda ancora il Besa Center, anche il momento della cooperazione nell’industria della difesa, con l’acquisto da parte di un fondo d’investimento qatarino del 50% di BMC, azienda turca che produce veicoli corazzati (e che è di proprietà di amici stretti del presidente Erdogan). Ne scaturì immediatamente l’accordo per la produzione di più di mille esemplari del carro armato Altays.

Oltre a questo lauto affare, vi fu anche la joint venture tra la turca Havelsan, un’azienda di stato specializzata in software, e la Al Mesned Holkdings per realizzare soluzioni dedicate di cyber-security per il Qatar.

L’amicizia tra I due paesi ha avuto modo di manifestarsi anche sotto la pandemia, che la Turchia ha patito con un aumento record della disoccupazione, destinata a toccare il 17%, e un nuovo deprezzamento della lira. Anche in questo caso, la generosità del Qatar è stata decisiva, avendo rinnovato l’accordo con la Banca Centrale turca sui cambi con un surplus che ha portato da 5 a 15 miliardi di dollari la disponibilità per Ankara – un passaggio che ha immediatamente rafforzato la valuta sui mercati.

E infine c’è il dossier più scottante di tutti: la Libia. Nei comunicati ufficiali non è menzionata per nome, ma è chiaro che la situazione nella nostra ex colonia, dove Turchia e Qatar sono non solo alleati ma sono attualmente dalla parte che sta prevalendo, avrà dominato i conversari tra i due leader.

E chissà cosa si saranno detti, a porte chiuse, delle minacce di Haftar, dell’Egitto e dei russi, che sembrano tutto fuorché intenzionati a cedere ai due alleati di Doha e Ankara tutta la posta in gioco in Libia.

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