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Tutti i guai economici del Libano. Report Ispi

Pubblicato il 06/08/2020 - Start Magazine

L’esplosione che ha devastato il porto di Beirut. I funzionari portuali arrestati. E l’economia in caduta libera. Focus Ispi sul Libano

La violenta esplosione che martedì pomeriggio ha squassato il porto di Beirut creando scene di tregenda che che hanno scioccato il mondo è stata per lungo tempo oggetto di speculazione da parte dei media, convinti di trovarsi di fronte ad un attacco terroristico o a un bombardamento da parte di una potenza straniera.

Le testimonianze raccolte finora raccontano invece una diversa verità, che l’Ispi (Istituto di studi di politica internazionale) ha confezionato un focus che fa il punto sull’incidente, le sue cause, la catena di errori che ha portato alla catastrofe e la condizione di un paese in caduta libera come il Libano.

NITRATO DI AMMONIO

Di tutte le cose che si sono dette di questa vicenda, l’unica certezza – scrive l’Ispi – “ è che nella zona dell’esplosione era stoccata una quantità enorme di nitrato di ammonio”. Questa sostanza utilizzata per produrre fertilizzanti e, in certe condizioni, altamente esplosiva sarebbe, all’origine dell’enorme esplosione ‘a fungo’ ripresa da video diventati virali sui social nonché a causare lo sprigionamento di particelle contaminate nell’aria.

INCIDENTE O ATTENTATO?

Poiché la detonazione che ha investito la città di Beirut è stata talmente potente da aver causato un terremoto di magnitudo 3.5, percepito fino all’isola di Cipro, in molti nelle prime ore hanno temuto che la causa fosse un violento bombardamento o un attentato.

Ben presto tuttavia l’attenzione si è spostata sul contenuto dei magazzini del porto e, in particolare, su quelle 2750 tonnellate di nitrato di ammonio che furono trasportate anni fa in mare dirette in Mozambico salvo fare riparo nel porto di Beirut per in problema al motore. Come spiega l’Ispi, in “base alle leggi libanesi fu decretato il sequestro dell’imbarcazione. I proprietari abbandonarono il carico e l’equipaggio si disperse. Il nitrato fu stoccato nell’hangar 12 del porto e da allora i funzionari delle dogane inviarono agli uffici amministrativi preposto cinque lettere – tra il 2013 e il 2017 – per chiedergli di ordinare che il materiale, altamente pericoloso, venisse rimosso. Non ottennero nessuna risposta e a distanza di tre anni dall’ultima lettera, il carico si trovava ancora nell’hangar”. Di qui la fatalità.

Oltre all’ipotesi del bombardamento, per diverso tempo ha tenuto banco l’ipotesi dell’attentato. L’intero paese è infatti in attesa del verdetto sull’omicidio dell’ex premier Rafik Hariri, avvenuto quindici anni fa in quella che viene ricordata come la Strage di San Valentino. Il camion bomba, per inciso, deflagrò proprio nei pressi del porto. Per questo motivo lunedì, i vertici del movimento Hezbollah – i cui esponenti sono alla sbarra nel processo – hanno smentito ogni coinvolgimento nell’esplosione.

UNA IMPERDONABILE LEGGEREZZA?

Alcuni media locali avevano riferito inizialmente che l’incendio che ha causato l’esplosione sarebbe iniziato durante i lavori di saldatura che erano in corso nel magazzino che conteneva il nitrato di ammonio. Ma, come sottolinea l’Ispi “il direttore delle dogane libanesi, Badri Daher, ha confermato ai media che, incredibilmente, vicino al magazzino di nitrato di ammonio che è esploso c’era un deposito di fuochi d’artificio. Un elemento che solleva interrogativi inquietanti sull’assenza di gestione e competenze della dirigenza amministrava, e non solo, di uno dei porti più importanti del Mediterraneo Orientale”. Non a caso il presidente, Michel Aoun ha immediatamente convocato il Consiglio supremo di difesa definendo “inaccettabile” il fatto che una tale quantità di nitrato di ammonio sia rimasta immagazzinata per sei anni nel porto di Beirut senza misure di sicurezza, mentre Il premier, Hassan Diab, ha assicurato che “tutti i responsabili di questa catastrofe, saranno chiamati a risponderne”. Le autorità libanesi – ha scritto Bloomberg – hanno arrestato i funzionari portuali, ora ai domiciliari.

L’ECONOMIA IN CADUTA LIBERA DEL LIBANO

L’incidente di martedì arriva in un momento drammatico per il Libano, incapace di ripagare gli 1,2 miliardi di dollari di obbligazioni emesse in valuta estera. Il paese inoltre da marzo è ufficialmente in default e ha avviato un complesso negoziato con il Fondo Monetario Internazionale. A completare il quadro, un rapporto debito/pil al 170%, il terzo al mondo, la perdita dell’ancoraggio con il dollaro e il conseguente crollo della sterlina libanese, tramutatosi nella drammatica diminuzione del potere d’acquisto da parte della popolazione. Il tutto inoltre è ulteriormente aggravato dalle conseguenze della pandemia, che ha infierito su un paese già malato e con un tasso di disoccupazione al 25%, togliendogli persino la fonte più preziosa di proventi ossia il turismo.

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