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Uno scontro interno all’Europa

Pubblicato il 12/11/2015 - Messaggero Veneto

Per cogliere l’essenza dell’emergenza immigrazione e la sfida che pone all’Europa bisogna evocare un uomo che non c’è più: Samuel P. Huntington.

Se potesse commentare il fosco spettacolo che sta andando in scena dentro e fuori il Vecchio Continente, il teorico dello “scontro di civiltà” riformulerebbe il suo famoso paradigma con una versione 2.0 che porrebbe sotto l’insegna dello “scontro nelle civiltà”. Una formula che inquadra efficacemente i fenomeni che si stanno manifestando all’interno e all’esterno dei nostri confini e i dati sottostanti.

Si prendano le statistiche dell’Unhcr. Oltre la metà dei rifugiati nel mondo viene da tre soli Paesi: Siria, Afghanistan, Somalia. Queste nazioni hanno un’evidente trait d’union: sono parte di una regione, la mezzaluna islamica, afflitta da un’endemica conflittualità interna aggravata dalla piaga del jihadismo. Il suggerimento insito in questa constatazione viene ribadito dagli altri numeri sfornati dall’Unhcr, che ai primi posti della sua lista nera segnala anche la presenza di Iraq, Sudan e Pakistan.

Ciò che sta spaccando il mondo islamico, producendo esodi che non hanno riscontri nella storia contemporanea, ha un triste contraltare dall’altra parte della filiera delle migrazioni, ossia nei Paesi riceventi. E qui entra in scena l’altro scontro “nella” civiltà, quella europea.

Sull’altare dell’accoglienza si sta bruciando ogni residuo legame e persino il bon ton tra un blocco di Paesi che di coesione produce ben poco a parte gli omonimi fondi. Se le crepe nell’Unione sono profonde già oggi, che accadrà quando si materializzeranno le previsioni della Commissione, che stima in tre milioni gli arrivi da qui a fine 2017? La ricetta per evitare il tracollo l’avrebbe fornita anche in questo caso Huntington, cui non sfuggiva un importante deficit della costruzione europea: l’assenza di una politica estera comune.

Quello del “gigante economico e nano politico” è un nodo antico che torna ora a galla in un momento segnato dalle turbolenze del quadrante mediorientale e dalle scelte dell’amministrazione americana, impegnata ad archiviare la stagione interventista della presidenza Bush.

Il caos ai nostri confini è lasciato così all’inaffidabile gestione di potenze regionali nei cui calcoli la sorte dei milioni di siriani e iracheni in fuga da un’interminabile guerra civile è tutt’altro che al primo posto. Dove i disperati stiano cercando rifugio lo sappiamo bene. Tra le opzioni per farvi fronte sembra però assente al momento quella suggerita dal patriarca siriano Gregorio III Laham.

Il punto centrale, ha dichiarato a settembre, «non è accogliere e ospitare i profughi, ma fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’Occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli StatiUniti. Questo è ciò che aspettiamo. Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza».

Si può dubitare sulle effettive capacità dell’Europa di dare seguito all’esortazione del presule. Ma con milioni di persone che premono ai nostri confini, il tempo degli amletismi è finito.

EuropaimmigrazioneMessaggero Veneto
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